Tra Mario Draghi e Palazzo Chigi c'è l'ostacolo dei «distruttori». Un gruppetto insidia, veto dopo veto, condizione dopo condizione, il cammino dell'ex presidente della Bce verso la guida del governo. Se Forza Italia e Lega, dopo le consultazioni, hanno consegnato al premier incaricato una delega bianco, nel fronte giallorosso si moltiplicano le richieste e gli ultimatum. Ma chi sono? E cosa vogliono i distruttori? Si parte dal campo dei Cinque stelle. Il Movimento pone una serie di condizioni per dare il via libera al governo Draghi. La prima: la riconferma del reddito di cittadinanza, misura bandiera della propaganda grillina. Vito Crimi, capo reggente dei grillini, sabato scorso, dopo il colloquio con il premier incaricato, ha posto come punto fermo e inamovibile il ri-finanziamento del reddito. Ma sul reddito è scontro tra distruttori: Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, chiede la modifica del sussidio. I distruttori grillini pongono altre due condizioni: superbonus e no al Mes. Senza considerare che tra i Cinque stelle cresce la pattuglia vicina Di Battista e Lezzi che ogni giorno lavora per distruggere il governo Draghi. La senatrice Barbara Lezzi: «Esecutivo a tempo, poi voto». Ma c'è chi scommette che tra i distruttori vi sia anche Rocco Casalino. Ma è solo un sospetto. Malumori forti serpeggiano tra i ministri trombati Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro e Vincenzo Spadafora.
Ampia e agguerrita è la pattuglia di distruttori nel Pd. Il primo è stato il vicesegretario Andrea Orlando che ha provato (senza successo) a imporre all'ex numero uno della Bce la scelta di ministri politici. Operazione fallita. Ci riprova il leader dei dem Nicola Zingaretti che insiste su patrimoniale e no alla flat tax. Cercando di aprire lo scontro con la Lega che chiede un taglio delle tasse. Il fisco resta il terreno su cui i distruttori dem possono partire all'attacco. Zingaretti chiude, come se fosse ancora all'epoca del Conte due, all'ipotesi di un condono fiscale. Per ora i distruttori non trovano alcuna sponda da parte di Draghi. Che nei colloqui è stato chiarissimo e netto: «La sintesi tocca a me». Un posto speciale tra i distruttori spetta a Matteo Orfini che non perde occasione per rilanciare la battaglia sulla patrimoniale. Sapendo di generare tensioni tra i partiti che sostengono Draghi. Ieri è stato il turno di Maurizio Landini. Alla vigilia dell'incontro con il premier incaricato il segretario della Cgil carica la pistola: «Patrimoniale? Siamo per una riforma complessiva. Ma se qualcuno mi viene a ripropormi la flat tax deve esser chiaro che noi non siamo d'accordo, non siamo disponibili a pagare tre volte, quelli che lavorano sono quelli che si sono fatti il mazzo e hanno permesso di uscire dalla pandemia. Vogliamo riconosciuti dei diritti, non ulteriore precarietà», commenta ospite di Mezz'ora in più. E poi subito una richiesta: «Lo statuto dei lavoratori è già stato manomesso, serve un nuovo Statuto. Io rivendico un cambiamento. Non ho una preoccupazione di cosa taglierà Draghi, ma voglio essere coinvolto per partecipare allo sviluppo e alla rinascita del Paese. Non c'è certo da tagliare sul mondo del lavoro». Draghi va avanti e punta a chiudere la partita entro domani sera.
Ma dal mondo gay si leva protesta: «Dopo il primo giro di incontri sembra probabile il Governo Draghi, purtroppo dobbiamo rilevare che le premesse non sono positive, infatti, nessuna forza politica da destra a sinistra ha proposto diritti per la nostra comunità Lgbt+, anzi l'Udc ha proposto come condizione di non approvare alcuna legge contro l'omotransfobia, di non cancellare la circolare Salvini Padre e Madre che discriminai figli delle famiglie Arcobaleno» - dichiara Fabrizio Marrazzo, portavoce Partito Gay. Aggiungi, dunque, un distruttore a tavola. Chiude la tavola il sindaco di Lampedusa Totò Martello: «Draghi chiarisca la linea sull'immigrazione».
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