Nella corsa affannata della diplomazia verso una tregua in Medioriente, appare sempre più un miraggio il traguardo del cessate il fuoco a Gaza dopo il veto degli Stati Uniti, il quarto, all'ultima risoluzione Onu che chiedeva lo stop alle armi. E vacilla anche l'intesa sul Libano, nonostante l'inviato degli Stati Uniti, Amos Hochstein, riferisca di «ulteriori progressi» nei colloqui fra Israele e Hezbollah, e dopo la visita di martedì a Beirut sia volato ieri in Israele, spiegando che - se intesa ci sarà - il cessate il fuoco potrebbe materializzarsi già «entro una settimana». A conferma degli ostacoli, a smorzare l'ottimismo americano ha pensato il leader di Hezbollah, Naim Qassem, che in un discorso televisivo ha spiegato di non voler accettare alcuna tregua in cui sia concesso a Israele di violare la sovranità del Libano e ha promesso di colpire Tel Aviv per vendicare i raid israeliani su Beirut. Come se non bastasse, a complicare ulteriormente il quadro, si aggiunge l'irritazione dell'Iran, sotto il cui mantello agisce «l'asse del male». Teheran si è irritata per la risoluzione ai suoi danni presentata all'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, da un gruppo di Paesi occidentali che accusano il regime di scarsa cooperazione. Infine gli Stati Uniti hanno informato l'Irak di «imminenti» raid israeliani se il governo non metterà fine agli attacchi a Israele dei gruppi filo-Iran.
Il tempo stringe prima dell'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e nonostante l'amministrazione Biden voglia strappare una pace, anche temporanea, sui due fronti caldi del conflitto, le prospettive di uno stop alle armi sono ancora totalmente incerte. Washington non vuole la tregua a ogni costo. Per questo gli Usa, unico Paese dei 15 del Consiglio di Sicurezza Onu, ha votato contro l'ultima risoluzione, definita «vergognosa» da Israele, che chiedeva «un immediato, incondizionato e permanente» cessate il fuoco a Gaza. La ragione? «Non si può dare il via libera a una tregua incondizionata che non chieda un immediato rilascio degli ostaggi», ha spiegato un funzionario statunitense dietro anonimato. La risoluzione, promossa dai 10 membri non permanenti del CdS, in realtà chiedeva lo stop alle armi, ma secondo gli Usa non lo collegava alla liberazione dei rapiti. Gli Stati Uniti sono rimasti coerenti con la linea adottata a marzo, quando si astennero per una simile risoluzione nel Ramadan. Dopo il no, Hamas ha lanciato l'ennesimo anatema contro gli Usa, «direttamente responsabili della guerra genocida» a Gaza e ha spiegato che, se l'attacco di Israele continuerà, non ci sarà intesa.
Quanto al Libano, le divergenze riguardano la richiesta di Israele di poter mantenere libertà di movimento sul territorio libanese se Hezbollah violasse l'accordo di tregua. L'intesa prevede un ritiro dei combattenti sciiti a nord del fiume Litani e dell'Idf dai villaggi libanesi, il ritorno alle proprie case degli sfollati, un rafforzamento di Unifil e dell'esercito libanese.
«Qualsiasi accordo dovrà preservare la nostra libertà d'azione in caso di violazioni», ha dichiarato il ministro degli esteri israeliano Gideon Saar. «Israele non può imporre a noi le sue condizioni» ha replicato il leader di Hezbollah. Qassem ha minacciato Tel Aviv e avvertito: «La resistenza continua, che i negoziati abbiano successo o meno».
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