«Se la polizia carica ci sediamo tutti a terra e facciamo resistenza passiva» spiega un militante del coordinamento che ha dato vita ai cortei di protesta no pass a Trieste. Una trentina di duri e puri dell'ala di estrema sinistra sono riuniti in circolo sotto il cavalcavia davanti al valico 4 del porto. E spunta pure una pasionaria che si presenta come «agente di polizia penitenziaria no pass». La notte precedente è successo di tutto: prima i portuali hanno annunciato con un comunicato che tornavano al lavoro, poi pressati dalle proteste dello zoccolo duro e di chi non ha nulla a che fare con lo scalo, compreso il candidato sindaco no vax, Ugo Rossi, che ha preso oltre il 4% dei voti a Trieste, hanno fatto marcia indietro ribadendo che «il presidio continua fino al 20 ottobre e non si molla». Poche ore dopo, Stefano Puzzer, detto «Ciccio», anima della protesta che ha messo in difficoltà lo scalo giuliano, si è dimesso da portavoce del Coordinamento dei lavoratori portuali «per continuare la lotta». Al gruppo dell'ala sinistra dei no pass ha ribadito che «non sono Dio. Mi dimetto per non coinvolgere i portuali che non sono d'accordo. Trieste continua ad accogliere gli italiani contrari al green pass».
In realtà è in atto un braccio di ferro fra gli irriducibili che vogliono continuare la protesta e gli stessi portuali che hanno capito di essersi infilati in una strada senza ritorno.
La parte finale del comunicato che mollava la presa lo avrebbe scritto Alessandro, che tutto chiamano Sandi, Volk, 62 anni, il più anziano fra i portuali. Si autodefinisce «comunista che si trova meglio con i fascisti». La retromarcia è stata imposta da una minoranza, non più di 15 persone, con forti pressioni dall'ala esterna di estrema sinistra e dalla pressione della piazza no pass che non lavora in porto. A tal punto che lo stesso Puzzer avrebbe detto ai suoi colleghi: «Altrimenti questi mi staccavano la testa». Il risultato del caos interno si vedeva già la notte di sabato: solo un pugno di portuali presidiava le sbarre dell'ingresso del porto rispetto al primo giorno quando erano quasi in duecento. Il resto dei no pass era gente attirata dalla protesta. «Ad una certa ora sembrava un rave party» sentenzia uno dei primi manifestanti no pass al fianco dei portuali. In alcuni momenti sembra di assistere ad un'operetta fra bambini che ballano in mezzo ai manifestanti giunti da Rovereto, Firenze, Roma ed una signora con un cartello «Trieste chiama e Trento risponde».
Il «popolo» no pass, che sta diminuendo, ma ieri c'erano comunque 3-4mila persone, è confuso e disorientato dai colpi di scena. Il gruppo antagonista, deciso a «resistere», ha cercato di scavalcare i portuali rimasti, non più di una trentina per prendere il controllo. Nel pomeriggio di ieri si è rischiato lo scontro fisico ed è ricominciata la caccia ai giornalisti. Gli antagonisti hanno annunciato che «proseguiremo ad oltranza». Puzzer e una quarantina di portuali hanno rischiato di venire travolti per «tradimento». Poi il capo popolo ha rilanciato la linea dura fino al 20 ottobre. E annunciato che «saranno giornate calde. Siamo qui per stare uniti, non per dividerci». In serata sono arrivati rinforzi e la polizia è stata chiara: da oggi non verrà più tollerata la presenza di contestatori no pass davanti al valico 4.
Maurizio, autotrasportatore di Monfalcone, non vuole andarsene: «Abbiamo iniziato questa battaglia pacificamente e la porteremo a conclusione».
L'obiettivo di fare ritirare l'obbligo del green pass sul posto di lavoro è velleitario e gli stessi sindacati confederati di Trieste hanno chiesto che «si liberi il porto». Le pettorine gialle dei portuali veri sono sempre meno. Di notte i no pass bivaccati davanti al valico sono in pochi, anche se ogni tanto echeggia ancora il grido di battaglia «la gente come noi non molla mai».
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