Trionfo di Bibi. Con i rischi dell'alleato radicale Gvir

L'ex premier vince ascoltando la gente. Ma dovrà monitorare il leader del Partito sionista

Trionfo di Bibi. Con i rischi dell'alleato radicale Gvir

La vittoria dell'alleanza che riporterà Benjamin Netanyahu al governo diventa sempre più consistente via via che le schede vengono scrutinate. Durante il composto discorso in cui Yair Lapid, il primo ministro uscente, chiedeva ai suoi di credere ancora, la marea di Bibi aumentava fino a 65 seggi per la sua coalizione, e diminuiva quella di Lapid fino a 55.

Netanyahu ha tenuto un discorso conciliante, in cui ha chiesto al popolo di restare unito perché la sua intenzione è quella di prendersi cura del benessere e della sicurezza di tutti. La campagna l'ha visto attivo come un ragazzino saltare nei paesini, nei kibbutz, fra i soldati, in campagna e nelle fabbriche. Una scelta opposta a quella di Lapid, per la quale il capo di «C'è un futuro» ha condotto una campagna di principi liberali, di massimi sistemi, con la sicurezza e la sensazione di superiorità dell'élite intellettuale e politica cui appartiene. Qui è il motivo della vittoria di Netanyahu e della perdita di consensi, della crisi verticale della sinistra, che vede anche il Meretz cancellato perché non ha raggiunto il limite di ammissione alla Knesset, come anche due partiti arabi: il governo e tutti partiti che ne facevano parte si sono occupati troppo del «no a Bibi», senza ascoltare la gente comune, quella che a Gerusalemme teme gli attentati quotidiani, o a Bat Yam non può comprare un modesto appartamento alla figlia che si sposa. Le parti del suo governo erano troppo per unirle su obiettivi popolari e rispondere all'insicurezza.

L'aggressione a metà del Paese ha creato una reazione, Bibi ha sofferto un accerchiamento da togliere l'aria a tutta Israele, e a questo ha risposto l'insurrezione che riporta il leader al governo, vede la crescita del partito religioso orientale Shas (10 seggi), e soprattutto la bomba di 14 seggi (Netanyahu al momento ne ha 31) da parte del personaggio-scandalo del momento, Itamar Ben Gvir. In queste ore buona parte della stampa internazionale gli dà del fascista e del razzista, ricordandolo come l'uomo su cui anche Biden aveva espresso preoccupazioni. Qui molti giornalisti, specie di Haaretz, usano la sua figura e il suo Partito Religioso Sionista per screditare il futuro governo, dicendo che sarà la tomba della democrazia, seppellirà il sistema giudiziario (Smotrich è descritto come un golpista) ed emarginerà il 20% della popolazione, quella araba, anzi, forse la espellerà.

La biografia di Ben Gvir, che non ha fatto il servizio militare, è quella di un giovane di origine irachena, la cui madre curda era attiva nell'Irgun, combattente armata. Itamar sin da ragazzino è stato un attivista che ha vissuto il terrorismo delle due Intifade; estremista, di certo, tanto da aderire al gruppo di Kach che poi fu messo fuori legge, ma che lui oggi ripudia pubblicamente. Il suo punto ripetuto e ritenuto razzista è l'idea che chi non aderisce allo stato d'Israele e anzi ne cerca la sparizione deve essere privato dei diritti di legge. Un'affermazione roboante con un duro risvolto politico, non razziale, quasi di impossibile realizzazione legislativa. Certo, la cosa può diventare, specie se come ha annunciato Ben Gvir chiederà il ministero della sicurezza, problematica per Netanyahu, la cui visione è molto più duttile e non religiosa. Ben Gvir e anche Smotrich asseriscono di tenerci al carattere ebraico dello Stato, cosa che può portare a appesantire le leggi sullo Shabbat, il matrimonio, le regole alimentari. I due sono noti anche per le loro opinioni sulla comunità Lgtbq, che invece durante i governi Netanyahu ha fatto passi eccezionali.

Insomma Bibi, che si rifiutò di farsi fotografare con Ben Gvir, avrà bisogno di tenere a bada il grosso alleato, che non è fascista, ma che a ogni attentato (uno anche ieri) o alle esplosioni di rifiuto arabo, acquista forza. Non sarà facile, ma il protagonista è Netanyahu e il suo ritorno. Il tentativo di metterlo sul banco degli imputati di nuovo, e stavolta per interposta persona, è volgare e scoperto. E crea nuove divisioni.

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