Il trionfo del "Doge" Zaia. "Questa è la vittoria del partito dei veneti"

Il governatore ora chiederà al governo centrale di trattenere i 9/10 delle tasse sul territorio

Il trionfo del "Doge" Zaia. "Questa è la vittoria del partito dei veneti"

nostro inviato a Venezia

Alle sette del mattino, appena il suo seggio nella scuola elementare di San Vendemiano ha aperto, Luca Zaia era già pronto a dare l'esempio ai veneti. Lui e la moglie sono stati i primi a deporre la scheda nell'urna e a farsi fotografare con la ricevuta del voto in mano, sbandierando il Leone di San Marco. Alle undici e mezzo della sera ha affrontato microfoni e telecamere. «Non è la vittoria di un partito ma del popolo veneto ha detto - I veneti quando vengono chiamati all'appello rispondono. Vincono i veneti, una chiamata di popolo trasversale rispetto ai partiti. Questo è il giorno del Big Bang delle riforme. È la dimostrazione che si può cambiare nell'alveo delle regole costituzionali. Questa stagione riformista diventerà endemica. Vedremo che cosa diranno quelli che un giorno difendono la Costituzione e un altro ignorano chi la rispetta».

Il Doge di Palazzo Balbi ha vinto la sua sfida. Era una scommessa con i veneti, ai quali aveva imposto un quorum per la validità del voto, accompagnato dall'impegno che se i numeri fossero stati risicati lui avrebbe chiuso la pratica nell'archivio dei sogni infranti. È stato un braccio di ferro con tutti i detrattori che in queste settimane l'hanno contestato. A partire da una spesa ritenuta eccessiva (16 milioni di euro per schede, seggi, ricevute, verbali, manifesti e straordinari per le forze dell'ordine). Gli hanno contrapposto le scelte del governatore dell'Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, il quale ha avviato una trattativa diretta con il governo per ottenere la stessa autonomia chiesta dal Veneto senza però passare per un referendum che avrebbe potuto rivelarsi inutile. Ma soprattutto al presidente della giunta regionale del Veneto è stato obiettato che la sensibilità per i vecchi cavalli di battaglia leghisti si era ormai annebbiata anche qui, tra la sua gente, dove la Liga con le sue nostalgie della Serenissima aveva messo radici prima ancora che in Lombardia.

Zaia invece ha tenuto duro anche dentro il suo partito. La battaglia ha avuto formalmente inizio nel 2014, proprio nel periodo in cui Matteo Salvini stava consolidando la rottura con la Lega Nord di Umberto Bossi, un partito che svestiva i panni indipendentisti, federalisti, autonomisti per indossare la casacca del sovranismo nazionale sulle orme della Le Pen in Francia.

Il governatore del Veneto, che tempo fa Silvio Berlusconi aveva indicato come possibile leader di una coalizione di centrodestra, è stato capace di portare la gente alle urne ed è stato abile nel mantenere il referendum nell'alveo istituzionale, senza cavalcare rivendicazioni separatiste sulla scia della rivolta catalana. Un leader moderato ma deciso, che ha ingaggiato una prova di forza con Roma sul fronte della politica ma anche su quello delle regole istituzionali. Quando la Corte costituzionale gli ha bocciato quattro dei cinque quesiti proposti nel 2014, Zaia non ha mollato il colpo ed è andato avanti con l'unico interrogativo sopravvissuto alla falcidie della Consulta. Una domanda perfino banale, alla quale sembra assurdo dire di no. Chi non vuole più autonomia, più soldi, più potere?

Ora la road map è già segnata. Il referendum dà l'autorità al consiglio veneto di varare una legge regionale con le materie per le quali chiedere al governo ulteriori margini di autonomia. La bozza, 56 articoli, è pronta. Zaia ha annunciato che già questa mattina la giunta regionale si riunisce per varare il testo da sottoporre al consiglio regionale. Sono 23 le materie possibili, dalla sanità all'istruzione, dai rapporti internazionali ai trasporti passando per beni culturali ed energia. Il Veneto chiederà tutto.

Ma oltre al possibile, Zaia chiederà anche l'impossibile, cioè di essere di fatto equiparato alle regioni a statuto speciale e trattenere sul territorio i nove decimi di Irpef, Ires e Iva. Il bersaglio grosso del referendum è il cosiddetto residuo fiscale, cioè la differenza tra le tasse pagate e quelle che ritornano da Roma.

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