"Niente volontari allo sbaraglio. Riscatti? Paga anche chi nega"

Il fondatore di Intersos: "La bontà non basta Responsabilità e sicurezza sono un obbligo"

"Niente volontari allo sbaraglio. Riscatti? Paga anche chi nega"

Nino Sergi è un veterano delle Ong in zone di guerra. Fondatore di Intersos ha vissuto il dramma dei suoi volontari rapiti in Cecenia e di un'altra organizzazione non governativa sequestrati in Somalia. Al Giornale spiega il suo punto di vista e delle Ong più strutturate.

Il caso di Silvia Romano non è il primo a dimostrare che le Ong dovrebbero essere più attente alla sicurezza.

«L'attenzione alla sicurezza riguarda tutti. Le Ong più strutturate l'hanno capito da tempo. Tanto da promuovere con l'Unità di crisi della Farnesina già nel 2015 un approfondito lavoro che ha prodotto indicazioni per la prevenzione e gestione dei rischi. Formazione, comprensione del contesto, protocolli per il rischio Paese, monitoraggio, sono divenuti pane quotidiano per molte Ong. Diverso è il discorso se parliamo di associazioni o persone che esprimono solidarietà, generosità, professionalità, sottovalutando talvolta i rischi, anche in aree non destabilizzate».

I rischi sono aumentati per le Ong che operano all'estero in aree di crisi?

«Certo, e non solo nelle aree di crisi. Fino a tre decenni fa si poteva attraversare tutto il Sahel da soli e fermarsi nel villaggi a dormire. Ora è impensabile».

Silvia è stata mandata allo sbaraglio?

«Silvia sapeva ciò che faceva, anche perché già conosceva il Kenya. Qui non si tratta di mandare allo sbaraglio ma di capire/non capire che la spinta solidaristica non basta da sola. C'è un'etica della responsabilità che tutti, associazioni e singole persone, dobbiamo severamente assumere nei contesti difficili».

Che pensa della onlus Africa Milele che ingaggiò Silvia?

«Mi sembra che la fondatrice andando in viaggio di nozze in Kenya abbia deciso di aiutare i bambini del posto creando un'associazione per questo fine. Senza però strutturarsi in maniera adeguata».

Non bisognerebbe fare un albo in base alla serietà delle Ong anche dal punto di vista della sicurezza?

«La legge sulla cooperazione già prevede che le Ong che hanno rapporti con la pubblica amministrazione siano iscritte in un apposito elenco dopo la verifica dei criteri di ammissibilità, periodicamente valutati. Se ne conoscono quindi le qualità. Per le altre associazioni solidaristiche ritengo più utile un'ampia azione di informazione, educativa, perché venga assimilato il convincimento che la generosità, la stessa professionalità, sono preziose ma non possono più bastare nelle iniziative di aiuto e di cooperazione».

I cooperanti, come per le grandi Ong internazionali, non dovrebbero seguire specifici corsi sulla sicurezza, prima di andare all'estero?

«Molti già lo fanno, anche nelle Ong italiane. Vanno ampliati a tutti e rafforzati, senza dubbio. Potrebbe essere di aiuto il sostegno a percorsi formativi per rafforzare le capacità di prevenzione e gestione del rischio, compreso un eventuale sequestro».

Come Ong strutturate non avete mai pensato di fare un'assicurazione «kidnap and ransom» con le società specializzate di sicurezza anglosassoni?

«Chi parte con le Ong è coperto da tutte le assicurazioni. Quelle delle società di sicurezza, a parte i costi spropositati, ci metterebbero in un ambito militare-intelligence che non è proprio il nostro».

É vero che esiste un'impostazione «mentale» di alcuni volontari che in aree pericolose sottovalutano il rischio e pensano che la sicurezza sia un limite all'indipendenza?

«Talvolta sì, lo vediamo anche in Italia. Se non si è collegati ad organizzazioni strutturate o a realtà del Paese quali missioni, istituzioni pubbliche, enti scolastici, sistemi produttivi ci si può mettere in situazioni rischiose».

Pur di riportare un ostaggio a casa dobbiamo accettare l'idea di pagare un riscatto?

«Nelle nostre cultura ed etica del diritto lo Stato ha l'obbligo di salvare la vita dei propri cittadini. E vivaddio. Guardi che tutti lo fanno, magari indirettamente, anche quando negano. A proposito dei sequestri, quando è capitato ad Ong strutturate, la collaborazione tra Ong e Istituzioni ha favorito l'accelerazione della soluzione ed una migliore gestione del rientro a casa».

Silvia non ha

ancora detto una parola di condanna dei terroristi Al Shabab.

«Diamo tempo al tempo. Non sappiamo poi se le sue dichiarazioni possono mettere a repentaglio altre vite. Un po' di pietà: è appena uscita da un incubo».

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