"Troppi magistrati rifiutano le sentenze. Non è da Paese civile"

La vicepresidente dell'Unione: "Quanti casi come quello di Burzi restano sconosciuti"

"Troppi magistrati rifiutano le sentenze. Non è da Paese civile"

«Io non conosco personalmente il dottor Saluzzo. Ma il suo comunicato successivo al suicidio dell'ex consigliere Angelo Burzi mi sembra un esempio classico di pervicacia accusatoria. E questo è un problema culturale che riguarda un pezzo di magistratura italiana. Non tutti i magistrati ne sono affetti, si badi. Ma molti sì».

Paola Rubini, avvocato padovano, è vicepresidente dell'Unione delle Camere penali: l'organismo che martedì è intervenuto duramente contro la narrazione della tragedia di Burzi veicolata dal comunicato del procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo.

Cosa non va in quella ricostruzione?

«Prima di tutto che non si è capito a che titolo sia intervenuto Saluzzo. Perché? Per difendere chi? Siamo di fronte a una difesa a tutti i costi del ruolo svolto dall'accusa in questo processo, una discesa in campo che ritengo assolutamente inopportuna, anche perché omette circostanze di grande rilievo».

Per esempio?

«Il primo è la durata abnorme di un processo che si trascina da dieci anni in violazione di tutti i richiami che la giustizia europea ha inviato ripetutamente all'Italia. Poi non si dice che i giudici di primo grado avevano assolto gli imputati con formula piena. E infine si minimizza la portata della sentenza della Cassazione che aveva annullato le condanne e ordinato un nuovo processo: non solo per ricalcolare le pene, ma anche sul tema cruciale della consapevolezza psicologica del reato. Se non c'è quella consapevolezza il reato non esiste. È questa omissione che mi fa parlare di pervicacia accusatoria. Io vengo da una scuola ipergarantista, ma le decisioni dei giudici le rispetto tutte, qualunque siano. Sarebbe giusto che tutti facessero la stessa cosa».

Se Burzi e i suoi coimputati erano stati assolti con formula piena in primo grado, come è possibile che altri giudici li abbiano ritenuti colpevoli «aldilà di ogni ragionevole dubbio»?

«Qui si apre il tema su cui ci battiamo da anni: in caso di assoluzioni in primo grado, al pubblico ministero deve essere impedito il ricorso in appello».

La bozza di riforma del ministro Cartabia lo prevedeva, ma dal testo definitivo la norma è sparita.

«Abbiamo un governo sostenuto da molti partiti, ed evidentemente in alcuni la sensibilità erano diverse. Alla fine è stata fatta una sintesi, una mediazione: un po' come sulla prescrizione, dove si è partorita un norma che ora dobbiamo capire come si applica in concreto: e non è facile».

Resta il fatto che, davanti a un morto ancora da seppellire, il pg di Torino sembra non avere niente da rimproverarsi.

«La tragedia di quest'uomo sottoposto a un processo lunghissimo, pacificamente aldifuori di ogni limite, non viene rispettata. E si cerca di spostare la barra verso la protezione a tutti i costi della pubblica accusa. Questo non è degno di un paese civile».

Quanti casi Burzi ci sono?

«Troppi. Di questo si è parlato, giustamente, perché era una persona nota, stimata. Ma di imputati che non arrivano vivi alla fine del loro processo ce ne sono tantissimi. I dati sui suicidi nella carceri sono terribili. Questo è il frutto di una giustizia che non ha attenzione alle persone».

Occhio, Saluzzo vi ha ricordato che esiste il reato di vilipendio della magistratura.

«Una minaccia inopportuna».

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