Un popolo, uno Stato: e una sola bandiera, la nostra. Dovrebbe valere a Bologna come a Roma o a Milano, e dovrebbe essere stabilito per legge (peraltro lo è già) senza il trucchetto adottato dal sindaco Matteo Lepore (foto), il quale - ormai dal maggio scorso - ha appeso una bandiera palestinese sotto una finestra di palazzo d'Accursio come se fosse il lenzuolo macchiato di sangue che esibivano in Sicilia a prova di improbabili illibatezze. Ma, di fatto, se un Comune espone la stessa bandiera intanto sventolata da migliaia di manifestanti, non fa che legittimarli: e, dal punto di vista della comunità ebraica di Bologna, se una massa di trogloditi attacca la Sinagoga e nel farlo sventola la stessa bandiera palestinese esposta dal Comune, beh, pare anche normale che una comunità si senta attaccata su due fronti. Il sindaco Lepore, a suo tempo, disse che «quando Israele si fermerà, esporremo accanto alla bandiera palestinese anche quella israeliana», così legittimando una funzione comunale di pubblico tazebao ma, soprattutto, ergendosi a giudice unico di che cosa significhi, di preciso, che Israele debba «fermarsi».
C'è sempre qualcuno che rimane scontento, comunque: il sindaco di Milano Giuseppe Sala, nell'ottobre 2023, fu contestato per aver esposto a palazzo Marino la bandiera israeliana insieme a quella arcobaleno della pace, ormai la più scialba e insignificante del globo terracqueo: la doppia esposizione fu vista come una forma di annacquamento del messaggio di solidarietà a Israele, e si poteva capire. Sala, perlomeno, a un certo punto, tolse entrambe le bandiere e citò - se non la legge - almeno il cerimoniale che impone di esporre la bandiera di un altro Stato soltanto in alcune circostanze (come la visita di una delegazione) e quindi per un tempo limitato: anche se lo stesso Sala, a guardar bene, non aveva esposto le bandiere sui pennoni, ma aveva adottato la formula (alla Lepore) del panno messo ad asciugare nei quartieri popolari. Intanto il consigliere comunale del Pd Abdullahi Ahmed, a Torino, esponeva il vessillo palestinese dal balcone del suo ufficio e così pure faceva il sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Potremmo continuare, ma si fa prima a dire che la legge, quella che vieta di mostrare bandiere private nei luoghi istituzionali, esiste già, anzi, ce n'è una mezza dozzina. Le prime che saltano all'occhio, su internet, sono del 1998, del 2000 e del 2006. Così come esiste notoriamente un rigido regolamento per come vada esposta la bandiera italiana (accanto a quella europea) all'esterno di organi costituzionali, fuori dalla sede del Governo (allorché il Consiglio dei ministri sia riunito) e fuori da ministeri, consigli regionali, provinciali e comunali, negli uffici giudiziari nelle scuole di ogni ordine e grado, oltreché nelle sedi di ogni facoltà universitaria. Poi, però, c'è il trucchetto dei panni alla finestra alla Matteo Lepore, che oltretutto dovrebbero anche ledere il decoro urbano. E, a complicare tutto, ci sono anche le leggi regionali come quella che in Veneto impone di mostrare il Leone di San Marco (più sette code in rappresentanza delle sette province) obbligatoriamente per comuni, province, città metropolitane ed enti pubblici.
La soluzione sembra semplice e di buon senso, e forse è per questo che in Italia, dove i divieti vanno applicati «severamente» o sono trascurati, non si trova la quadra.
La soluzione è vietare di apporre bandiere che non siano quelle italiana ed europea, questo come principio generale; altre bandiere (ma sui pennoni, non alle finestre) possono essere issate in giornate celebrative su delibera comunale, per la durata necessaria, o quando c'è una particolare delegazione in visita. Punto. Non pare difficile. Fare una legge, infatti, non lo è, farla rispettare, invece, molto di più.
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