Missione compiuta. Ora il loden può essere riposto nell'armadio delle cose inutili. Dopo le dimissioni di Napolitano, l'ultimo atto è la migrazione dei parlamentari di Scelta civica nel Pd. Il cerchio si chiude e c'è poco altro da capire. A questo punto si può mettere il sigillo su quella meteora politica che è stata il montismo. Il professore sobrio apparve sulla scena come il salvatore della patria, l'uomo che avrebbe dovuto salvare l'Italia dal fallimento e sconfiggere la crisi economica. L'obiettivo in realtà era eliminare Berlusconi. Monti è stato la maschera che Napolitano ha tirato fuori dalla tasca per sbarazzarsi del Cavaliere. Berlusconi era la prova che la democrazia non funziona, che non è possibile fidarsi delle scelte della maggioranza degli italiani, che in certi casi serve un correttivo dall'alto, senza passare dal voto. Ma serviva una strategia che coinvolgesse il Quirinale, i mercati, cancellerie e governi stranieri e pezzi del mondo degli affari, della finanza e dell'impresa, su tutti Della Valle e Montezemolo, dove anche un Matteo Renzi in carriera sarebbe diventato una variabile futura.
Sarà il sindaco di Firenze a raccogliere, infatti, i frutti della scarnificazione di Berlusconi dopo il fallimento dello stesso Monti, di Bersani, come alternativa democratica, ed Enrico Letta.
Ma torniamo all'ultima estate di Berlusconi al governo. Napolitano ha già fallito, con Fini, il primo tentativo di far saltare il centrodestra italiano. L'ex leader di An si era lasciato convincere che il Cavaliere non avesse più scampo e presto sarebbe stato sommerso da inchieste giudiziarie sempre più infamanti. Erano i mesi in cui D'Alema parlava di «terremoti» e il pentito Spatuzza spargeva accuse di mafia sul capo del governo. Spatuzza verrà poi smascherato come inattendibile.
Nel 2011 è in questo clima che la situazione internazionale e finanziaria si complica. È in atto una crisi nell'area euro devastante. Lo spread è a 150. In Europa si susseguono riunioni dove sostanzialmente la Merkel detta la linea, con Sarkò compare; agli occhi dei due, Berlusconi è un leader inaffidabile, imprevedibile e che potrebbe mettere i bastoni tra le ruote alla politica anti-crisi che l'asse franco-tedesco porta avanti.
A luglio lo spread comincia ad allargarsi senza freni, e supera quota 300 in breve tempo. Poi 400, poi 500. Partono vendite simultanee di proporzioni colossali dalla Germania (epocale fu la vendita di ben 7 miliardi di Btp della Deutsche Bank) e dalla Francia, maggiori detentori dei nostri Btp, e si innesca un processo, che durerà 7 mesi, dove i non residenti vendettero ben 200 miliardi di Btp, causando il boom dello spread. Napolitano è già attivo da tempo nei contatti, ed ha sostanzialmente individuato in Monti il prossimo presidente del Consiglio (la cosa traspare chiaramente dai giornali anche dell'epoca). Arriva all'Italia una lettera dalla Bce, a firma Trichet e Draghi che ha toni e contenuti incredibilmente forti, con l'imposizione di un vero e proprio programma di governo, senza la cui applicazione è condizionante per l'intervento della Bce sui titoli italiani. La rete intorno al governo Berlusconi si stringe. All'interno del Pdl sono più di una ventina i parlamentari che fremono e sperano in una resa e un successivo passo indietro di Berlusconi. Ci sono pressioni? Sì. E Alfano comincia a credere che possa essere lui il successore. Si arriva a novembre, la caduta. Scatta l'ora di Monti.
Berlusconi all'inizio è costretto a fidarsi del professore. Lascia spazio al nuovo governo. Accetta le larghe intese e fa un passo indietro. Il guaio è che Monti segue alla lettera la politica della Troika. Sogna di trasformare gli italiani in perfetti tedeschi, seguendo gli ordini di Berlino e per un anno il suo loden è sinonimo di austerità, tasse, grigiore, fino a spremere dagli italiani le ultime gocce di sangue e speranza. Il tessuto delle piccole e medie imprese ne esce distrutto, tutto lo sforzo è per salvare le banche. Nel frattempo il virus nel Pdl fa il suo corso e si prepara a consumare dall'interno il centrodestra. Berlusconi realizza che Monti è soltanto una pedina di Napolitano, incaricato, con l'aiuto di collaborazionisti del Pdl, di sfilargli il partito.
Tutto diventa chiaro in un giorno di metà dicembre 2012 al teatro Olimpico a Roma. Monti governa da mesi, ma il progetto deve essere allargato.
Qui si radunano tutti i dissidenti del Pdl che chiedono a Berlusconi di andare in pensione e lasciare il futuro nelle mani di Alfano. Sono convinti che in vista delle elezioni un Pdl senza il Cavaliere, ma alleato con una magmatica lista Monti valga almeno un 30 per cento. E chi c'è in questo nuovo ipotetico schieramento? Ci sono pezzi dei futuri alfaniani, i pidiellini montiani, c'è Casini, c'è Pezzotta, Formigoni e c'è anche Italia futura, il partito-movimento fantasma di Montezemolo, spalleggiato da Della Valle, allora molto vicino a Matteo Renzi.
Berlusconi sventa lo scippo e torna in pista per riprendersi partito e campo. La decisione del Cavaliere impone una lista Monti che ne argini la rimonta. Nasce Scelta civica, ingloba l'Udc, prende qua e là altri centristi, si aggiungono Fini e i suoi, lì confluisce il gruppo più politico di Italia futura: sono considerati renziani ante-litteram, ma Renzi non è ancora pronto, quindi tutti con Monti. È un'alleanza strana, senza collante, senza identità. Il perché sia nata lo capiremo col tempo. A Monti e ai suoi i giornaloni dei poteri forti attribuiscono percentuali altissime, lo pongono come unico avversario di Bersani. La realtà è diversa, Scelta civica finirà con percentuali ridicole, otterrà l'unico risultato che davvero conta per i suoi fondatori e animatori più o meno occulti: fermare Berlusconi. Come più volte ha confermato Monti, senza Scelta civica, il Cavaliere avrebbe vinto ancora una volta e ora siederebbe al Quirinale.
Evitato questo, la coalizione dei giusti che avrebbe dovuto cambiare il Paese s'è sciolta, il primo ad abbandonare è stato lo stesso Monti che ha ripudiato il movimento da lui stesso fondato: ha preferito prendere il vitalizio da senatore a vita senza avere più la leadership di uno pseudo-partito.
Ora abbandonano anche gli altri, finendo dove avrebbero voluto già essere: in un Pd nuovo, più centrista, dunque renziano, perché nel frattempo Matteo s'è fatto le ossa. Solo che in quel momento serviva altro. La storia è finita, restano le macerie. Il povero Bersani voleva smacchiare il giaguaro, non sapeva che Napolitano e Monti avevano già smacchiato lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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