
Donald Trump torna a difendere i dazi, ma il rischio di una guerra commerciale globale apre una prima crepa nella sua amministrazione. Alla mezzanotte di ieri sono entrate in vigore le tariffe aggiuntive del 10% imposte su gran parte dei prodotti che gli Stati Uniti importano dal resto del mondo, uno shock per gli scambi che si prevede si intensificherà nei prossimi giorni, quando dovrebbero partire anche quelle più elevate sulle merci provenienti da 57 partner commerciali degli Usa. Il presidente su Truth ribadisce che la sua «rivoluzione economica» darà risultati enormi per gli americani: «Vinceremo. Resistete, non sarà facile, ma il risultato finale sarà storico», scrive il tycoon assicurando che le sue politiche stanno «riportando posti di lavoro e aziende come mai prima».
In realtà, l'ostinazione nel proseguire la politica dei dazi potrebbe portare al primo addio eccellente del suo gabinetto. Il segretario al Tesoro Scott Bessent, secondo le fonti di Msnbc, starebbe pensando di dimettersi dopo il disastroso annuncio del Liberation Day che ha danneggiato la sua «credibilità». La conduttrice della rete tv, Stephanie Ruhle, spiega che Bessent «sta cercando una via di fuga per provare ad arrivare alla Fed, perché gli ultimi giorni stanno davvero danneggiando la sua credibilità e la sua storia sui mercati». Il segretario al Tesoro, che ha costruito una fortuna gestendo enormi hedge fund, non riesce a digerire la «matematica assurda delle tariffe» di Trump, definita da alcuni critici una «comprensione da asilo nido» del commercio internazionale. Inoltre, precisa la giornalista, il comandante in capo «non sta ascoltando» Bessent, «l'uomo strano» nella sua cerchia ristretta.
Anche all'interno del partito repubblicano aumentano le preoccupazioni: il monito più duro arriva dal senatore del Texas Ted Cruz, che mette in guardia contro un potenziale «bagno di sangue» per il Grand Old Party nelle elezioni di Midterm del 2026 se i dazi causassero una recessione negli Usa. Cruz nel suo podcast prevede poi un destino «terribile» per la più grande economia del mondo se scoppiasse una vera e propria guerra commerciale e i dazi, così come qualsiasi misura di ritorsione sui beni statunitensi, rimanessero in vigore a lungo termine. D'altronde, per diversi analisti poiché i dazi sono un tipo di tassazione, il piano del tycoon è tra i maggiori aumenti fiscali degli ultimi decenni per gli Stati Uniti: «Penso sempre che con il gioco d'azzardo, almeno hai una possibilità di vincere. Questo è peggio di così - sottolinea Douglas Holtz-Eakin, economista conservatore che ha lavorato per l'ex presidente George W. Bush - È come scommettere con la mafia. Perderai». I membri Gop a Capitol Hill stanno cercando di portare avanti una legislazione che garantirebbe tasse più basse per individui e aziende, ma c'è una speranza sempre minore tra i conservatori che quei tagli possano compensare la resistenza creata dalle tariffe doganali. Persino alcuni alleati del presidente come Stephen Moore, il suo ex consigliere economico, lo hanno implorato di portare avanti «più tagli fiscali e meno tariffe».
La Casa Bianca continua a sostenere che i dazi non sono tasse per i cittadini, ma piuttosto per le aziende straniere che dovranno abbassare i prezzi per mantenere l'accesso al mercato Usa. Al contrario, gli economisti hanno costantemente ripetuto che aumentano i prezzi per i consumatori e le aziende nazionali, compresi i produttori che importano materiali per trasformarli in prodotti finali.
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