Filippo Turetta resta impassibile e con lo sguardo basso mentre il pm Andrea Petroni chiede che sia condannato all'ergastolo per aver ucciso con premeditazione e crudeltà la sua ex, Giulia Cecchettin, massacrata con 75 coltellate. L'accusa ritiene che le aggravanti ci siano tutte, anche quella dello stalking, «con le sue richieste ossessive di stare sempre seduti vicino, di non uscire con tizio o caio, le sfuriate quando Giulia non rispondeva al telefono». Da un anno la vittima aveva paura di Filippo. Per l'imputato - ne è certo il magistrato - non c'era nessuno scenario alternativo all'omicidio, come dimostrerebbe l'elenco delle cose da fare, aggiornato fino a due ore prima del delitto: «Fare benzina per garantirsi la fuga, munirsi di sacchi dell'immondizia, procurarsi la corda per legare Giulia, toglierle le scarpe, procurarsi coltelli e nastri neri, cercare come navigare online senza essere trovato, comprare le mappe per scappare, fare ricerche online nei luoghi che poi sono stati quelli della fuga. Ogni giorno compie un'azione e questo nonostante il 9 novembre ottenga ciò che vuole dalla parte offesa, cioè la possibilità di vederla». L'11 novembre i due ex si vedono, fanno un giro insieme in un centro commerciale, cenano, poi mentre Filippo riaccompagna a casa Giulia la lite e il delitto: lei voleva andare avanti da sola, lui non voleva vivere senza di lei. Giulia, stufa delle sue ossessioni, gli aveva tolto la possibilità di vedere l'ultimo accesso su whatsapp. Quella sera aveva ceduto alle pressioni, ma poi aveva scritto un messaggio: «Dopo la laurea faccio ciò che voglio». Una frase, che letta ora in aula dal pm, fa venire i brividi. Perché Giulia alla sua laurea, in programma il successivo 16 novembre, non ci arriverà mai. Del resto Filippo glielo aveva scritto: «O ci laureiamo insieme o la vita è finita, smettila di pensare alla tua inutile carriera. Se la mia vita finisce, la tua non vale niente».
Sembra un caso scuola di femminicidio, ma nonostante ieri fosse la giornata contro la violenza sulle donne il pm avverte che in aula non si faranno riflessioni sul tema: «In questa sede si accertano solo responsabilità individuali». Non è possibile configurare attenuanti per Turetta. Il pm Petroni è durissimo con l'imputato: «Aveva tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere un percorso diverso dalla sopraffazione per risolvere i conflitti». E nonostante gli sia stata data l'opportunità di dire la verità, non l'ha mai fatto. Anzi, durante il primo incontro in carcere ha dato al magistrato «la spiacevole sensazione di essere preso in giro»: «Ha detto di aver prelevato i soldi per fare shopping, di avere il nastro per attaccare la pergamena della laurea di Giulia e i coltelli in auto per il suo suicidio». Mentre l'imputato non avrebbe avuto alcuna intenzione di togliersi la vita. Dopo aver ammazzato Giulia non avrebbe girato per l'Italia, arrivando fino in Germania, per trovare il coraggio di farla finita. «La verità è che è stata una fuga vera e propria», dice il pm.
«Turetta ha commesso un delitto con una spietatezza e crudeltà che non merita trattamenti premiali»,
ha detto l'avvocato Stefano Tigani. Il legale di Gino Cecchettin ha sottolineato la «volontà punitiva» dell'imputato che non si è mai pentito, non ha mai chiesto perdono: «La scorsa udienza Gino era qui e lo poteva fare».
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