![Tutte le ombre sulla pace di Monaco](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/01/24/1737729652-putin.jpg?_=1737729652)
La sede della Conferenza sulla sicurezza europea che si aprirà venerdì evoca pessimi ricordi. A Monaco, nel 1938, si discusse del destino della Cecoslovacchia e non dell'Ucraina, ma non mancano inquietanti similitudini. Perché, se è vero che a questo vertice del 2025 sarà presente l'intero campo occidentale più lo stesso Volodymyr Zelensky in rappresentanza di Kiev, è altrettanto vero che l'attore protagonista del progetto di negoziato con Mosca, gli Stati Uniti di Donald Trump, vi si presenterà solo per illustrare il piano di pace americano e anticipare una fase successiva a questa di Monaco, in cui a discutere di come fermare il conflitto in Ucraina potrebbero rimanere soltanto in due, Trump e Putin, lasciando fuori dalla porta Zelensky e i suoi alleati europei.
Anche nel 1938 lo Zelensky di allora, il presidente cecoslovacco Eduard Benes, era stato escluso dai colloqui decisivi. Vi partecipò, con l'aggressore tedesco Adolf Hitler, un malassortito terzetto di «pacificatori»: il dittatore italiano Benito Mussolini, sodale del Fuhrer, e i capi dei governi britannico e francese in teoria impegnati a difendere la Cecoslovacchia. Anche oggi c'è un aggressore, Vladimir Putin, ma un solo «pacificatore», Donald Trump.
Il primo, al di là delle schermaglie retoriche, mira a cacciare Zelensky dalla presidenza ucraina (cosiddetta «denazificazione») per poi fagocitare in un modo o nell'altro il Paese che ha invaso tre anni fa.
Il secondo ambisce solo a cingere l'alloro di Gran Pacificatore, di cui gloriarsi in patria. Di quali sarebbero le ricadute in Europa di una resa più o meno totale dell'Ucraina alla Russia, che oltre tutto questa guerra non sta vincendo, poco comprende e ancor meno gli importa: verità amara, ma questo è.
A Monaco Trump sarà rappresentato oltre che dall'inviato speciale per l'Ucraina, Keith Kellogg - dal suo vice JD Vance, noto per aver affermato che «del destino dell'Ucraina non m'importa un accidente». Ieri, addirittura, Trump ha detto che in un futuro l'Ucraina potrebbe diventare russa, e quindi lui pretende garanzie per tutti gli investimenti americani a Kiev «perché non siamo stupidi»: 500 miliardi di dollari in metalli strategici ucraini. Un caos inquietante, cui si aggiunge la pretesa di Putin che l'Ucraina non possa mai aderire alla Nato «per garantire la sicurezza russa». A garantire quella ucraina, a quel punto, dovrebbero provvedere gli europei, inviando propri contingenti militari a presidiare la linea del cessate il fuoco, mentre Kiev potrebbe (conoscendo Trump il condizionale è d'obbligo) continuare a ricevere anche da Washington armi sufficienti per difendersi. Fonti diplomatiche Usa hanno smentito questo piano di resa, confermando che in realtà alla Casa Bianca, dove è in atto uno scontro tra falchi anti-Zelensky e fautori delle pressioni su Putin, non hanno affatto le idee chiare: «Il piano per l'Ucraina non è ancora pronto, sarà maturo solo dopo una serie di incontri che il generale Kellogg terrà al quartier generale Nato nella seconda metà di febbraio. È bene che Trump parli con Putin, perché è il solo che può influenzarlo. Ma senza Europa non ci può essere un accordo».
A partire da venerdì,
cominceremo a capire verso quale compromesso si procederà. Tenendo conto che Putin può anche continuare così, tant'è che ha già pronta un'altra offensiva in stile prima guerra mondiale nel Donetsk. La pace potrà attendere.
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