Tutte le "paure" inventate della Meloni

La stampa di sinistra si scatena ad attribuirle ossessioni, dalle inchieste giudiziarie alle Europee

Tutte le "paure" inventate della Meloni
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Il ragionamento è un po' tortuoso ma dilaga sui giornali. Giorgia Meloni ha paura del dopo Europee, perché a quel punto i nodi verranno al pettine. Ha paura dei conti che non tornano, dei soldi che non ci sono, della strategia a tenaglia della coppia Macron - Scholz. Paura. La parola dominante di questa stagione del centrodestra, almeno nelle interpretazioni che ne danno molti analisti, giornalisti e commentatori nei talk. Poi c'è la paura della magistratura e delle sue imprevedibili mosse, paura per la classe dirigente che la circonda: in questo caso, come raccontano molti quotidiani in questi giorni, il timore sarebbe sinonimo di consapevolezza per l'inadeguatezza complessiva di chi le sta intorno. Ancora, volendo, c'è la paura di Draghi: il nome dell'ex premier circola per un incarico ai vertici delle istituzioni europee. E lei sarebbe in modalità panico: la stella dell'ex governatore della Bce potrebbe accendersi e oscurare la sua.

Non c'è più insomma la Meloni fascista o postmissina ma mai abbastanza, dunque ancora lontana dagli standard democratici. Quella tesi, cavalcata per mesi e mesi, non è più praticabile, anche se può sempre servire come carta di riserva. La grammatica meloniana va aggiornata, prevale la lettura più perfida e sofisticata dell'underdog che è rimasta si prigioniera del proprio passato, ma nemmeno più in chiave ideologica. Semplicemente ha perso lucidità, pensa di essere ancora all'opposizione, non ha la postura necessaria per Palazzo Chigi, evoca complotti e, come afferma il senatore di Italia viva Enrico Borghi a Repubblica, «è in confusione e vede fantasmi».

Dunque, c'era una narrazione che andava per la maggiore: sarà bagarre fino alle Europee, dentro e fuori i confini della coalizione, poi lei potrà governare col pilota automatico. Ora, vai a capire, la discesa si è fatta salita e salita di quelle insormontabili. Tutta un'altra storia, come scrive Repubblica: «Casse vuote e sacrifici, ora la grande paura di Palazzo Chigi è sul dopo Europee». E qui siamo alle matrioske: le disgrazie ne contengono altre. Deficit e debito incombono, le risorse a disposizione sono spiccioli. Per carità, pure prima non è che il quadro generale fosse una passeggiata di salute, ma il dopo è peggio. La trattativa sul nuovo Patto di stabilità sarebbe finita male, anche se - a osservare le cose in modo oggettivo - sono stati introdotti elementi di flessibilità e sono state scorporate alcune voci.

Non importa. C' è stato il no al Mes e questo porterà ad un'ulteriore irrigidimento del duo che conta a Bruxelles, Scholz e Macron, insomma si profila un mezzo disastro. Il dopo Europee assomiglia a questo punto ad un salto nel vuoto, fra contrasti con i vertici della Ue e scricchiolii contabili.

Poco interessa che tutte le profezie di sventura dei mesi scorsi, lenzuolate su lenzuolate, siano state ridimensionate o addirittura, talvolta, capovolte. La Borsa ai massimi, il record degli occupati, l'inflazione che comincia a scendere come le bollette, dopo le terribili impennate dell'anno passato. Le attribuiscono questa o quella frase, sfoghi e «furionda» furibondi e preoccupati.

Certo, ci sono stati infortuni e scivoloni: dal treno di Lollobrigida allo sciagurato sparo di Capodanno. Lei stessa ha stigmatizzato chi non si sta dimostrando all'altezza, ma ora la nuova letteratura meloniana ha creato un genere: lei che piange sulle rovine della nazione, devastata da chi dovrebbe farle corona e invece la spinge nel baratro. Una sfilza di nomi in girotondo, mettendo insieme tutto e tutti: Delmastro e Bignami, Montaruli e Mennuni, la maternità naturale e gli spifferi della cronaca giudiziaria. Siamo così alla paura verso le toghe e a quella per la possibile seconda ascesa di superMario. Lei si dichiara non ricattabile? Enrico Borghi, pure membro del Copasir, è una sentenza: «Forse teme un'iniziativa giudiziaria.

E in questo modo intende mettere le mani avanti». E poi ci sarebbe pure la Giorgia, in versione anti Draghi: «Qui siamo alla paranoia». Non la sua, però, ma di chi la dipinge intenta a rovistare nel pentolone dei complotti.

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