La Sea Watch 3 si trova ancora in acque territoriali. A bordo ci sono i 52 migranti soccorsi davanti alle coste libiche. Da due giorni a sedici miglia dall'isola di Lampedusa, la nave "pendola", come si dice nel gergo marittimo, senza muoversi da quella posizione. In attesa di una svolta. Non è certo la prima volta che l'ong tedesca infrange tutte le leggi del mare anticipando le mosse della Guardia costiera di Tripoli e rifiutandosi di riportare i clandestini i Libia al solo scopo di ingaggiare un braccio di ferro con Matteo Salvini. Tanto che ora viene il dubbio sull'azione della magistratura italiana che, quando ha avuto la possibilità di fermare l'imbarcazione, on l'ha fatto. A sollevare queste accuse contro i pm italiani è Pietro Dubolino, presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione, che sulla Verità spiega chiaramente perché la nave della Sea Watch andava lasciata sotto sequestro.
Forte del nuovo decreto Sicurezza bis, che gli dà la possibilità di vietarne l'ingresso, Salvini ha sottolineato che la nave non approderà in un porto italiano. "Sicuramente non arrivano in Italia perché per fesso non mi prendono", ha tuonato il vicepremier accusando la Sea Watch, così come tutte le altre ong che operano nel Mar Mediterraneo, di usare "gli esseri umani per loro indegni interessi. Non so se anche economici, ma sicuramente politici". "La Sea Watch sta andando avanti e indietro dimostrando ancora una volta di operare al di fuori della legge", ha incalzato il leader del Carroccio domandandosi come mai la procura non abbia confermato il sequestro. Lo stesso dubbio è stato sollevato dalle colonne della Verità da un magistrato che non si fa problemi a rivela che, anziché trovarsi in mare aperto, a poche miglia da Lampedusa, la Sea Watch 3 dovrebbe essere sotto sequestro per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Come spiega molto bene Dubolino, il braccio di ferro tra Salvini e l'ong tedesca è un déjà vu. Quando la procura di Agrigento ha deciso di dissequestrarla, era facilmente prevedibile che sarebbe subito tornata a "raccogliere davanti alle coste libiche altri 'migranti' per portarli in Italia" e sfidare politicamente il vicepremier leghista. Certo i pm hanno tenuto in piedi il procedimento penale, ma rimettendo in mare l'imbarcazione hanno di fatto riarmato gli ultrà dell'accoglienza che non vedevano l'ora di montare un nuovo caso mediatico. Non deve, quindi, stupire se il "salvataggio" di giovedì scorso sia avvenuto abbia seguito il solito schema: l'ong che interviene prima della Guardia costiera di Tripoli, nonostante quest'ultima avesse preso in carico il soccorso; il rifiuto netto di trasferire i migranti sia in Libia sia in Tunisia; il blitz verso le acque territoriali italiane per creare un nuovo scontro politico e portare il caso a Bruxelles.
Nel suo intervento pubblicato sulla Verità, Dubolino non mostra alcuno stupore per il consolidato modus operandi della Sea Watch. Al contrario solleva forti dubbi sull'operato della magistratura italiana che sembra aver "del tutto ignorato" certe precise disposizioni. In primo luogo l'arresto di chi è stato beccato a favorire l'immigrazione clandestina. È obbligatorio ma nel caso della Sea Watch è stato disatteso. "Non si comprende per quale ragione il comandante a carico del quale si riteneva fin da quel momento addebitabile il reato in questione sia stato denunciato a piede libero e non in stato di arresto, come la legge avrebbe imposto", scrive il magistrato ricordando che tale reato prevede anche la confisca del mezzo di trasporto usato per commettere l'illecito. "In casi come questo - fa notare - è prassi corrente di tutti gli uffici giudiziari mantenere il vincolo sulle cose soggette a confisca obbligatoria, trasformando, sulla base di talune precise norme del codice di procedura penale, il sequestro probatorio in sequestro preventivo, da mantenere fino all'esito del procedimento penale". la procura di Agrigento, al contrario, ha dissequestrato la Sea Watch 3 permettendole di tornare in mare. "O, all'atto in cui è stata disposto il dissequestro della nave, la procura era già giunta alla conclusione che, per quanto emerso dalle indagini, il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina fosse da ritenere insussistente, e allora, contestualmente al dissequestro, avrebbe dovuto chiedere l'archiviazione del procedimento - ipotizza Dubolino - oppure riteneva che il reato fosse rimasto comunque configurabile, e allora, essendo pendente il relativo procedimento penale, avrebbe dovuto chiedere la trasformazione del sequestro probatorio in sequestro preventivo a garanzia, nell'eventualità della condanna, della eseguibilità della confisca obbligatoria".
Le ombre sulla magistratura sono dunque notevoli.
"Se questo fosse un Paese serio - conclude Dubolino - qualcuno, nelle opportune sedi istituzionali, dovrebbe chiedere a chi di dovere le opportune spiegazioni". Ma si sa è difficile (se non impossibile) che i magistrati paghino per degli errori commessi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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