È giusto togliere la parola a un politico che in tv dice bugie? È successo l'altra sera, quando il presidente Usa Donald Trump stava parlando di brogli elettorali dietro la vittoria, ormai quasi certa, del suo avversario Joe Biden. Proprio come i social network Twitter e Facebook hanno marchiato con lo stigma di fake news i post del tycoon sulle «elezioni truffa», alcune tv americane hanno letteralmente silenziato il tycoon. «Ha iniziato a dire bugie e non permetteremo che continui, perché ciò che dice non è vero», hanno spiegato i conduttori di Cnbc e di Msnbc. Mentre la Cnn nel corso dei discorsi del presidente ha inserito strisce di testo in cui spiegava come le sue parole fossero «prive di fondamento». Quali? Il ricorso alla Corte suprema, che secondo le tv ostili al presidente Usa sarebbe «senza fondamento». «Non è chiaro il perché», oppure «Senza alcuna prova, Trump dice di essere stato imbrogliato», recitavano i sottopancia della tv americana. Per gli osservatori italiani, questo sarebbe il classico esempio di «giornalismo anglosassone», o watch dog, cane da guardia del potere, contro l'advocacy journalism, chiaramente schierato, orientato ma che dovrebbe sempre essere obiettivo. I fatti valgono più delle parole dei leader, insomma. Immaginatevi se le tv italiane togliessero la parola ai politici che dicono bugie. Magari, verrebbe da dire. Leoni con Trump, solo micioni con Conte, perché tanto per fare un esempio recente, lo scorso aprile durante la diretta tv del presidente del Consiglio Giuseppe Conte per rassicurare gli italiani su lockdown e stato della pandemia, il premier sparò a zero contro il leader della Lega Matteo Salvini e di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni dicendo che il centrodestra aveva votato il Mes nel 2011.
Una falsità, perché a farlo era stato il governo Monti e perché peraltro la Meloni non l'aveva votato. Immaginate se qualcuno del Tg1 si fosse sognato di togliere il collegamento. L'avrebbero mandato a quel Paese. Che non è l'America.
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