
«L' Ucraina ha il diritto sovrano di entrare nell'Unione Europea, non nella Nato». Qualcuno ha ritenuto di poter interpretare questa dichiarazione del Cremlino come un gesto di apertura. Chi lo ha fatto, però, dimostra come minimo molta superficialità, perché in questa frase c'è tutta la tipica modalità comunicativa e strategica della Russia di Putin, che tiene insieme l'eterna arroganza e il solito tentativo di ingannare con le parole.
Non si capisce, come prima cosa, per quale motivo uno Stato sovrano non dovrebbe avere il diritto di scegliersi da solo l'alleanza alla quale aderire. Ma la pretesa di vietare all'Ucraina tale diritto è appunto tipica della Russia di Putin, che in realtà non riconosce all'Ucraina alcuna sovranità e che tre anni fa ha lanciato la sua fallimentare invasione proprio per negargliela con la forza bruta.
Ma la parte più significativa della dichiarazione ufficiale russa è in realtà la prima. Le anime belle che vogliono credere alla praticabilità e alla opportunità di una pace imposta a Zelensky dal tandem Trump-Putin vi hanno voluto vedere una dimostrazione di disponibilità, o addirittura una premessa (se non una promessa) di una futura pacifica convivenza tra vicini civilmente diversi. Si sbagliano di grosso.
Il giochetto che hanno in mente al Cremlino ricalca quello dei patti di Minsk del 2015, che prevedevano per la nuova Ucraina un assetto federale, all'interno del quale le regioni filorusse governate da uomini scelti a Mosca avrebbero avuto diritto di veto su qualsiasi decisione del governo: dei veri e propri cavalli di Troia installati da Putin a Kiev con il compito di sabotare. Similmente, oggi il Cremlino punta a piazzare all'interno dell'Ue un'Ucraina obbediente a Mosca per sabotarne l'azione più e meglio di suoi attuali fedeli come l'Ungheria di Viktor Orbàn o la Slovacchia di Robert Fico.
Non per caso Putin mette in chiaro che condizione irrinunciabile per rapportarsi con l'Ucraina dopo il raggiungimento di un cessate il fuoco è la tenuta di elezioni che «legittimino la leadership di Kiev». Al di là della stupefacente sfacciataggine di tale pretesa da parte di un regime che in questi anni ha assassinato o costretto all'esilio tutti i suoi veri oppositori, rendendo ben poco legittima la leadership di Putin, è evidente che il suo obiettivo è uno solo: togliere di mezzo Volodymyr Zelensky.
Non essendo riusciti a ucciderlo come Aleksei Navalny, Boris Nemtsov o Boris Berezovsky, ci provano adesso per via elettorale, con la sconsolante complicità di Donald Trump. Il quale ha ormai palesemente scaricato Zelensky, come dimostrano le sue ultime dichiarazioni piene di menzogne anche grossolane, tra cui spicca un inesistente sondaggio che stimerebbe la popolarità del presidente ucraino al 4% dell'elettorato (in realtà è oggi valutato oltre il 50%, ma la storia insegna che Trump non è più credibile di Putin quando cita dati elettorali).
Si potrebbe essere tentati di credere che una chiamata alle urne possa solo giovare alla democrazia ucraina, a maggior ragione perché consentirebbe di superare un ostacolo frapposto da Mosca e così volentieri anche da Trump. Ma è un'ingenuità. Una delle specialità della guerra ibrida che Putin ha dichiarato all'Occidente è il condizionamento delle elezioni tramite «troll» e false notizie.
Lo ha già fatto di recente in Georgia, in Moldavia, in Romania, in Slovacchia, lo ha fatto negli Stati Uniti nel 2016 e lo sta facendo anche adesso in Germania.Non c'è porcheria davanti a cui si fermerebbero gli agenti di Putin pur di sloggiare Zelensky e installare al suo posto un Lukashenko che trasformi l'Ucraina in un'altra Bielorussia asservita a Mosca.
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