«Completeremo l'eliminazione dei battaglioni di Hamas, anche a Rafah. Nessuna forza al mondo ci fermerà» tuona Benjamin Netanyahu, mentre incontra le reclute dell'esercito israeliano impegnate ai confini con la Striscia di Gaza, prima del Gabinetto di guerra e infine quello di sicurezza ieri sera. Il primo ministro israeliano lancia l'ennesimo messaggio inequivocabile a Hamas, ma anche agli Stati Uniti che il giorno prima hanno ribadito la propria opposizione all'invasione della città del sud della Striscia, un'operazione di terra di cui Washington non conosce la data fissata da Israele, ma che Gerusalemme è convinta che sia la strada per la vittoria su Hamas e il ritorno degli ostaggi. Per preparare l'evacuazione di un milione e mezzo di civili palestinesi dalla città nel sud della Striscia, ultima roccaforte dei terroristi, Israele sta acquistando 40mila tende per l'evacuazione dei civili, preludio all'invasione che mira anche a scovare i capi di Hamas.
Solo una tregua potrebbe allontanare l'attacco, purché si trovi un'intesa con i terroristi per riportare a casa i 130 ostaggi. Ma ieri è arrivato l'ennesimo no di Hamas a un'intesa basata su 6 settimane di tregua per il rilascio di 40 ostaggi, in cambio della scarcerazione di qualche centinaio di detenuti palestinesi e del ritorno degli sfollati nel nord della Striscia. Gli integralisti palestinesi lamentano che le richieste del loro popolo non sono state ascoltate, chiedono la fine dell'aggressione e accusano Netanyahu di aver inficiato i negoziati con le parole sull'attacco a Rafah. Ma soprattutto ripetono il loro mantra: ritiro totale dell'esercito da Gaza e cessate il fuoco permanente, condizioni inaccettabili per Israele. Ma il tavolo resta aperto. «La proposta è molto seria e la palla ora è ad Hamas», spiega Washington.
In questo contesto, il presidente francese Macron si muove fuori dall'ambito europeo. Minaccia sanzioni a Israele per far arrivare più aiuti a Gaza e si unisce all'Egitto e alla Giordania, i due Paesi arabi che per primi hanno stipulato la pace con Israele, firmando una lettera in cui i tre chiedono un cessate il fuoco immediato e due Stati.
I rischi di un allargamento del conflitto nella regione crescono, dopo l'attentato subìto dall'Iran in Siria e la notizia del Nyt, secondo cui Teheran sta inondando di armi la Cisgiordania per provocarne la rivolta.
Il capo della Marina dei Guardiani della Rivoluzione, Alireza Tangsiri, ha invitato «gli eserciti islamici a formare una coalizione anti-Israele» e minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz, rotta da cui passa gran parte del petrolio mondiale.
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