Il patatrac era talmente annunciato che nel Pd avanza un sospetto: «La sconfitta sulla commissione Esteri? Conte l'ha cercata, per poter recitare il ruolo da vittima, attaccare alla rinfusa Draghi e maggioranza, e cercare di tenere insieme un partito a brandelli», dice un decano del Senato, commentando la bocciatura del candidato grillino e l'elezione di Stefania Craxi. Con i voti di quella che l'ex premier giallo-verde-rosso definisce «una nuova maggioranza che va da Meloni a Renzi».
In effetti, spiegarsi la straordinaria imperizia politica con cui il capo M5s ha gestito la sostituzione del (suo) presidente putinista Petrocelli alla guida della commissione è arduo, anche facendo la tara del fatto che Conte è Conte e che i suoi gruppi sono allo sbando. E gli argomenti che l'ex premier usa per reagire sono bizzarri: «Ci vogliono fuori dalla maggioranza perché siamo per la pace», grida ai giornalisti, come se la presidenza della commissione gli spettasse per diritto divino, e come se Fi non fosse parte, come lui, della maggioranza. Poi chiama in causa il premier, non si capisce a che titolo, in una vicenda squisitamente parlamentare: «Draghi è stato avvertito già ieri, spetta a lui la responsabilità di tenere in piedi la maggioranza».
A Palazzo Chigi registrano con gelido stupore la sbavatura istituzionale, ma non hanno alcuna intenzione di replicare su una materia che «non coinvolge minimamente il governo», come sottolineano dal Nazareno, anche se in pubblico Enrico Letta è costretto a fingere solidarietà con l'alleato grillino: «È stato un grande errore della destra, ma spero non abbia conseguenze sulla maggioranza». Il timore dem è che Conte, in crisi per i pessimi sondaggi, stia cercando un pretesto qualunque per togliere il sostegno a Draghi. Peccato che i suoi si affrettino a far sapere che «ministri e sottosegretari restano al proprio posto», segnalando che l'area governativa guidata da Di Maio non ha intenzione di seguire la cupio dissolvi di Conte. Che «non ne azzecca una», lamenta un parlamentare stellato.
La verità, spiegano in Senato, è che la débâcle di M5s in commissione è figlia della spaccatura al loro interno. La riunione dei capigruppo di maggioranza, martedì pomeriggio, è slittata di ora in ora perché il gruppo grillino non riusciva a trovare un accordo sulla candidatura da proporre. Alla fine Conte ha imposto il suo Ettore Licheri, ma il malumore interno era fortissimo e dal Pd si è tentato fino all'ultimo di convincerli a cambiare cavallo proponendo Simona Nocerino, vicina a Di Maio, che aveva qualche chance in più. Il ministro degli Esteri, dagli Usa, si limita a dire che «è mancato fair play» da parte degli altri partiti, e lascia la sconfitta a Conte.
La candidatura Craxi era stata messa apertamente sul tavolo da Forza Italia, che - pur essendo in maggioranza - non ha alcuna presidenza di commissione. Ed era già chiaro che i numeri erano dalla sua parte, e non da quella del contiano Licheri (già variamente trombato dai suoi compagni di partito per altri incarichi, a cominciare da quello di capogruppo). «Se insisti su di lui vai a sbattere, anche perché la richiesta di Fi è politicamente legittima», era il messaggio dem a Conte. Il voto è finito 12 (Craxi) a 9 (Licheri). E, visto che lo scrutinio era segreto, nessuno sa chi ha «tradito» chi. Il centrosinistra assicura di aver «segnato» i propri voti, per evitare accuse di diserzione. I contiani incolpano Italia viva.
«Conte non ha voluto cedere a Di Maio, sono andati alla conta interna e come al solito, non sapendo nulla di politica, l'ex premier ha perso», replica uno degli indiziati, il renziano Giuseppe Cucca. Renzi però fa filtrare che l'ennesima sconfitta di Conte non gli dispiace per nulla. Il più tormentato è Letta: «Così si va fuori strada e il governo deraglia».
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