Seduti in poltrona davanti alla tv. Stravaccati su un divano davanti al computer. Anziani e giovani. Fino a ieri a distanza incalcolabile, oggi contaminati dallo stesso disagio: non poter uscire, incontrarsi, far due chiacchiere, la partitella a carte o di calcio, il mercato, la fidanzatina, il parrucchiere, il giornale da comprare, il giro in centro. La vita. Una vita in pausa.
Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia generale e sociale all'università Bicocca di Milano ha realizzato un decalogo, anzi due. Uno per gli anziani, l'altro per i ragazzi. A 15 o 80 anni si scalpita di più. Il fine è lo stesso: rassicurarli e convincerli che stare in casa, in questo momento, non solo è necessario ma non è poi così male. «Dobbiamo far capire ai nonni che questo non è un abbandono ma anzi un prendersi cura della loro salute», spiega Mantegazza. Basta una telefonata in più per «rendere più popolata di voci che non con i corpi la loro vita». Parlare, far parlare. E non solo di virus. «È importante valorizzare i nonni non solo tutelandoli ma anche spingendoli a raccontare, magari ai nipoti, come hanno affrontato le emergenze vissute in passato. E soprattutto come ne sono usciti per capire insieme che l'umanità ce la fa». Permettere ai più anziani di ricordare le strategie di resistenza, di sopravvivenza spirituale. Ecco cosa può fare bene, adesso. Fiducia, speranza e positività. «Questa è la ricarica che serve, anche se è difficile», spiega Mantegazza. La regola zero è non interrompere «il contatto affettivo». E fare capire loro che lo stare in casa, non poter uscire per fare la spesa ad esempio, non è un limite alla loro indipendenza così faticosamente conquistata, ma un'esigenza che accomuna tutti. E con i ragazzi? «Con loro la parola chiave è responsabilità. Spiegare che abbiamo bisogno di loro, di questo sacrificio per aiutare gli altri a non ammalarsi». «Altri» che siamo noi, noi tutti. Certo poi «c'è il problema a non farli stare 24 ore al giorno davanti agli schermi». E quindi «riscopriamo le nostre cose, tiriamo giù vecchi scatoloni. Facciamo che la casa possa essere un luogo divertente». Poi la privacy. «Lasciamo ai ragazzi dei momenti di riservatezza, per parlare con i loro amici, la fidanzatina. Le case sono sempre più piccole, non è facile per loro». C'è «un effetto compressione» senza poter correre all'aria aperta, stare con gli altri. E quindi «bisogna anche accettare una risposta non tanto educata e a volte far finta di non sentirla». Pazienza. Reciproca. Non assediamoli con i compiti, lasciamo che si gestiscano da soli «a scuola d'altronde noi genitori non ci siamo». Riscopriamo il valore della noia, insieme a loro. E poi parliamo del dopo. «Spiegate ai ragazzi che stanno vivendo un momento storico che racconteranno ai loro figli.
Parliamo, cose positive soprattutto, di guarigioni, di medici e infermieri che stanno aiutando tante persone. E anche di altro perché il virus non monopolizzi le attenzioni». Affetto e cura. «Perchè sarà dal modo in cui vivranno questa esperienza che dipenderà il futuro della nostra società una volta sconfitto il virus».
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