Ha senso preoccuparsi dell'aumento costante dei contagi quando gli ospedali sono piuttosto vuoti di pazienti Covid? È la domanda che sorge spontanea, come diceva un conduttore televisivo di qualche decennio fa, ascoltando il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro sciorinare i dati dell'ormai consueto osservatorio del venerdì, che sono gli stessi che personalmente aggiorniamo tutti i giorni. Con i 5.143 casi di ieri (il dato più alto dal 21 maggio) l'incidenza dei contagi è più che raddoppiata in una settimana, passando da 12.719 casi nella settimana dal 10 al 16 luglio (21,33 casi ogni 100mila abitanti) a 26.337 (44,16 casi ogni 100mila abitanti) tra il 17 e ieri. Ed è colpa della variante delta, che ormai ha superato la alfa che ha spadroneggiato per mesi. Un dato reso possibile dalla crescita generalizzata della genotipizzazione e del sequenziamento di campioni Covid in Italia, che però secondo Brusaferro va implementato, come il tracciamento. Quando i contagi erano tantissimi, si diceva che sotto i 50 casi ogni 100mila abitanti si sarebbero tracciati i casi, ma questo non è avvenuto.
Aumenta l'indice Rt, che per la verità oggi non ci fa tremare come un tempo. «Attualmente - precisa Brusaferro - è a 1,29 nel nostro Paese. E quando guardiamo a quello proiettato avanti di una settimana, ci mostra come la crescita sia netta e sia proiettato a 1,55. Anche l'indice Rt degli ospedalizzati è sopra la soglia dell'1, con un valore di 1,16, anche se la curva sembra abbastanza piatta e la stiamo monitorando per vedere l'evoluzione».
Ma nemmeno Brusaferro può negare che proprio dagli ospedali arrivano le notizie migliori. Il tasso di ospedalizzazione dei positivi al Covid è assai basso: ieri il numero dei ricoverati in terapia intensiva è sceso ulteriormente, fino a 155, e una settimana fa erano 161 e due settimane fa 169. È occupato appena l'1,81 per cento degli 8.539 posti letto disponibili nei reparti di emergenza e nessuna regione è vicina alla soglia del 10 per cento che i nuovi parametri indicano come la porta di ingresso in fascia gialla. Stessa cosa per i ricoverati in area non critica, che ieri hanno toccato quota 1.304. In questo caso c'è un lieve aumento (una settimana fa erano 1.088, due settimane fa 1.167) ma il tasso di occupazione dei 55.652 posti disponibili è del 2,34 per cento, molto al di sotto del 15 per cento dei nuovi parametri.
È cambiata la mappa anagrafica dei contagi. «La crescita è caratterizzata in questa fase soprattutto da nuovi casi nella fascia d'età 10-19 e 20-29, seguita da 30-39. Quindi è la popolazione più giovane che in questo momento alimenta i nuovi casi», spiega Brusaferro, che aggiunge: «L'età media di chi contrae l'infezione da Sars-CoV-2 si sta abbassando. L'età mediana alla diagnosi è di 25 anni, sta decrescendo molto rapidamente. Anche l'età mediana al primo ricovero si sta abbassando ed è a 48 anni. Si abbassa poi a 59 anni l'età mediana del ricovero in terapia intensiva. Rimane invece piuttosto stabile l'età mediana di chi purtroppo decede, anche se essendo numeri limitati l'intervallo di confidenza è piuttosto ampio». Ieri sono stati registrati 17 morti.
Per Brusaferro non ci sono dubbi. L'unica strada è la vaccinazione, che peraltro se completa «presenta un'efficacia molto elevata ed è particolarmente protettiva per i decessi, i ricoveri in terapia intensiva e le ospedalizzazioni».
Preoccupa il fatto che «una quota ancora significativa della popolazione sopra i 50 anni non ha fatto ancora neanche la prima dose», ma incoraggia «che circa la metà della popolazione giovanile, oltre il 50 per cento tra i 20 e i 39 anni, ha fatto almeno una dose».
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