Veglia per il boia suicida all'Aia. Mostar rivive l'odio del passato

Fiaccolate e messe cantate, gli irriducibili omaggiano l'ex generale Praljak. Davanti ai "vicini" musulmani

Veglia per il boia suicida all'Aia. Mostar rivive l'odio del passato

Santo subito. Lumini, fiaccolate, slogan e messe cantate, mercoledì sera, nel settore croato cattolico di Mostar. A centinaia, gli irriducibili della «Grande Croazia» si sono ritrovati nel cuore della città per rendere omaggio alla memoria del «patriota» Slobodan Praljak, l'ex generale croato-bosniaco suicidatosi in diretta ingerendo veleno davanti ai giudici del tribunale dell'Aia che ne avevano ribadito la condanna a vent'anni di carcere per crimini di guerra. Candele e messe di suffragio anche per gli altri cinque imputati che erano alla sbarra, in appello, insieme con Praljak. E molti caffè e ristoranti chiusi, in segno di lutto e di rispetto.

Molta acqua è passata sotto lo Stari Most, il vecchio ponte ottomano che scavalca la Neretva fatto distruggere dal generale Praljak nel 1993 e ricostruito nel 2004 grazie alle donazioni di molti Paesi, fra cui il nostro. Ma il sentimento dominante dei serbi e dei croati di Bosnia, a oltre 25 anni dalla tragedia in cui affogò l'ex Jugoslavia, non è cambiato. Per i vetero-nazionalisti di Zagabria e Belgrado, e i loro «fratelli separati» di Bosnia, l'odio e il rancore che alimentarono uccisioni, stupri, deportazioni, lavori forzati, lager e fosse comuni non è cambiato. Per costoro, il Tribunale internazionale dell'Aia è solo una riedizione di quel che fu il Tribunale di Norimberga per i nazisti e i nostalgici del Fuhrer. Una enorme ingiustizia. O, più semplicemente, la giustizia dei vincitori. Ed è questa, forse, la vera tragedia di un popolo (anche i musulmani, quando poterono, si trasformarono in carnefici) che la morte-spettacolo del generale Praljak ha portato di nuovo alla ribalta della cronaca.

Il generale suicida era uno dei sei leader militari e politici croato-bosniaci condannati in primo grado quattro anni fa per aver messo in scena la stessa pulizia etnica orchestrata dai serbi di Bosnia agli ordini del generale Ratko Mladic. Obiettivo, il «riscatto» dalla componente musulmana di vaste aree di Bosnia Erzegovina sulle quali far poi sventolare le bandiere della «grande Croazia».

«I crimini si legge negli atti del processo celebrato in Olanda - non vennero commessi da alcuni soldati indisciplinati. Furono piuttosto il risultato di un piano elaborato dagli accusati per allontanare la popolazione musulmana dalle loro case. I musulmani che vivevano nella parte occidentale di Mostar venivano svegliati in piena notte, pestati e cacciati dalle loro case; mentre molte donne vennero violentate». Dal giugno 1993 all'aprile 1994 Mostar Est venne tenuta sotto assedio e la popolazione musulmana fu oggetto di bombardamenti «intensi e costanti». Un lavoro fatto proprio a puntino, secondo il generale Praljak.

Questa non è solo la versione dei giudici dell'Aia. È la storia come l'abbiamo vissuta noi, che di quella tragedia fummo per anni testimoni diretti. Ma per molti politici di Zagabria la sentenza dell'Aia resta una sentenza «politica e iniqua». Un'ingiustizia, dunque. Proprio come l'aveva vissuta il generale Praljak. «Molto triste», per la sua decisione di togliersi la vita in diretta tv, si è detto l'avvocato del generale. «Mai avrei immaginato.

Ma conoscendolo come un uomo che tiene moltissimo al proprio onore, so bene che non avrebbe potuto vivere con il pensiero di uscire dall'aula in manette». Un eroe, per tutti coloro che combatterono ai suoi ordini sfoggiando la Croce di Cristo sul calcio dei loro fucili mitragliatori.

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