«La giustizia è stata finalmente rispettata. Ma non riesco a provare soddisfazione nel vedere una persona vecchia e malata in carcere dopo così tanto tempo». Così Mario Calabresi ha commentato, in un tweet, l'arresto di sette ex terroristi delle Brigate rosse ieri in Francia, fra cui Giorgio Pietrostefani, condannato insieme ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi per l'omicidio di suo padre, il commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio 1972. Per Calabresi è stato «ristabilito un principio fondamentale: non devono esistere zone franche per chi ha ucciso». Proprio sulla questione della giustizia insiste Luigi Li Gotti, avvocato della famiglia Calabresi: «La vendetta non c'entra nulla, si tratta solo di eseguire delle sentenze di condanna. Se uno viene condannato, va in galera... Non sono stati perseguitati degli intellettuali che hanno commesso reati di opinione. Qui parliamo di omicidi, c'è gente che è morta».
A parlare per loro, le vittime delle Br, ieri c'erano i loro familiari. Come Giovanna Zugaro, compagna del prefetto Nicola Simone, aggredito nel gennaio 1982 durante un tentativo di sequestro: «Sarebbe stato veramente contento. Chissà, forse ha dato una mano anche lui da lassù». Lorenzo Conti, figlio dell'ex sindaco di Firenze Lando, assassinato il 10 febbraio 1986, spera «veramente che si apra una nuova stagione: si prendano in mano i faldoni delle stragi e si faccia chiarezza». E sugli arresti: «Provo una grandissima soddisfazione, ma questa non produce effetti, nessuno ci riporterà in vita il babbo». Più dura Sabina Rossa, ex parlamentare e figlia di Guido, l'operaio ucciso dalle Br a Genova il 24 gennaio 1979: «Rispetto per la giustizia, rispetto per i provvedimenti, ma sono passati davvero tanti anni ed era qualcosa che sarebbe dovuto avvenire molto tempo prima... Non può essere considerato un nostro risarcimento».
Se Bompressi sceglie di «non commentare» la notizia, Oreste Scalzone, cofondatore di Potere operaio, dice invece che gli arresti di ieri «sono più di una vendetta, non basterà mai. I familiari delle vittime saranno più frustrati e infelici di prima, e si chiederà sempre di più: l'assassinio dell'anima». Non la pensa così l'ex ufficiale dell'Arma Paolo Galvaligi, figlio del generale dei Carabinieri Enrico, ucciso la sera del 31 dicembre del 1980: «Hanno commesso atroci delitti tra cui l'uccisione di mio padre. Ma da parte mia, della mia famiglia, non ci sono mai stati sentimenti di vendetta, odio o rancore. Questa è assolutamente una vittoria per noi, per la Francia ma anche dell'Europa unita». Per Santa Granato, sorella dell'agente di polizia Michele, ucciso 42 anni fa dalle Br, «è un dolore che si rinnova ogni giorno e niente può farlo rasserenare. Questi quarantanni sono stati un calvario».
Che il capitolo Br non sia chiuso lo pensa anche Alberto Di Cataldo, figlio del maresciallo Francesco: «Nonostante siano passati ben 43 anni dall'omicidio di papà, l'arresto di Sergio Tornaghi è la dimostrazione che il capitolo del terrorismo in Italia e delle Brigate Rosse non si è chiuso. È una partita ancora tutta da giocare». Vanna Bertelè, vedova di Luigi Marangoni, direttore del Policlinico di Milano, dice che «si doveva fare da tanto tempo, è una cosa di giustizia, una cosa che andava fatta». Ha commentato Sergio Segio, tra i fondatori di Prima Linea: «Nell'art. 27 della Carta non mi pare sia contemplato il diritto alla vendetta... Portare in carcere Giorgio Pietrostefani, 78 anni, pluriammalato, per fatti di 48 anni fa è il segno di una giustizia che sa solo mostrarsi forte con i deboli». Mentre Erri De Luca si dà alle citazioni: «L'unico mio commento è la strofa di una canzone di De André: Cos'altro vi serve da queste vite?». Dopo il silenzio iniziale, Adriano Sofri si è espresso sul Foglio: «La sporca decina che oggi fa i titoli di testa è il fondo del barile».
Si dice preoccupato per le condizioni di salute di Pietrostefani, «il piatto forte della retata», ma anche un «vecchio amico». E, a proposito dei 7 ex terroristi arrestati, ha commentato: «Bravi! E adesso che ve ne fate?».
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