Il Venezuela prova a scaricare Maduro

L'opposizione sarebbe in testa nei sondaggi. Rischio frodi e "bagno di sangue"

Il Venezuela prova a scaricare Maduro
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Oggi si vota in Venezuela e, se fosse una democrazia, stasera il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) proclamerebbe Edmundo González Urrutia, un diplomatico e professore internazionalista in pensione che tra un mese compirà 75 anni, come nuovo presidente. Lui si insedierebbe nel gennaio del 2025, mentre il presidente de facto uscente, Nicolás Maduro, avrebbe sei mesi per organizzare la transizione a Miraflores e fare poi opposizione.

Il problema è che il Venezuela non è una democrazia che rispetta le regole elettorali né la separazione dei poteri ma un regime molto autoritario che ha cooptato tutte le istituzioni dello Stato e dove le più alte gerarchie delle forze armate, per interessi personali e patrimoniali (compreso il narcotraffico), rispondono direttamente a Maduro. Per comprendere di che cosa stiamo parlando, basti pensare che il regime chavista ha affidato il controllo della regolarità del voto odierno a delegazioni di osservatori russe, cinesi, iraniane, nordcoreane e cubane, oltre che a Celso Amorim, il factotum per gli esteri del presidente brasiliano Lula e José Luis Rodríguez Zapatero, che ricopre l'insolita funzione di «leader della trasparenza internazionale» a detta del regime. Comprensibilmente furente con Zapatero, una folta delegazione del Partito Popolare iberico, mandata indietro una volta sbarcata all'aeroporto di Maiquetía, Caracas, sotto gli occhi dello stesso ex premier socialista spagnolo, da tempo alleato di ferro di Maduro al pari dell'ex giudice Bltasar Garzón e del fondatore di Podemos, Juan Carlos Monedero.

Dopo avere ripetuto più volte che se perde ci sarà «un bagno di sangue», ieri Maduro ha chiesto ai venezuelani di riflettere molto prima di votare oggi, «pensate bene alla vostra famiglia e al vostro impiego», per poi chiudere con queste parole, riferite all'opposizione: «Oggi daremo ai fascisti e all'estrema destra una bastonata tale che non si alzeranno più e non metteranno mai più piede in questa nostra bellissima patria».

Nonostante le minacce, i sondaggi seri (non quelli di Maduro che gli accreditano una «super vittoria») danno a Edmundo González Urrutia un vantaggio superiore al 20 per cento. E questo nonostante il regime abbia comprato i voti con il cibo delle borse di cibo CLAP, un business gestito dall'ex carcerato (a Miami) Alex Saab, abbiano spostato sino a ieri i seggi nelle zone dove sanno che la stragrande maggioranza non è pro-regime e, soprattutto, abbiano impedito a 5 milioni gli aventi diritto, fuggiti all'estero, di partecipare al suffragio odierno. Di questi potranno votare, consolati del regime permettendo, solo 69mila. Il motivo per cui tanti ex chavisti non voteranno oggi per Maduro è che la povertà in Venezuela è dell'82 per cento, il doppio rispetto a 11 anni fa, quando lui successe a Chávez e che il salario minimo è precipitato a 3 euro.

Insomma, l'opposizione al regime chavista oggi potrebbe vincere perché, come ha spiegato la sua leader più conosciuta, Maria Corina Machado, «si respira una voglia di cambiamento senza precedenti». Staremo a vedere che succede, ovvero cosa intende fare il CNE di Maduro. Di certo c'è che oggi in Venezuela ci sono 301 prigionieri politici e che nel 2024 sono stati effettuati 114 arresti arbitrari, di cui 102 legati alla campagna elettorale di Edmundo González. Del resto, anche se oggi dovesse vincere lui, sino a gennaio 2025 il regime chavista controllerà ancora il Parlamento, la Corte Suprema di Giustizia, il Consiglio Nazionale Elettorale, la capitale Caracas, 20 su 23 stati, 220 su 335 comuni e tutti i vertici militari, di polizia e paramilitari, compresi i collettivi tupamaros in moto.

Quasi sicuro, invece, un altro massiccio esodo migratorio se Maduro continuerà al suo posto.

Oltre un quarto della popolazione, più di 8 milioni di venezuelani, sono già emigrati all'estero nell'ultimo decennio e, per questo, gli Stati Uniti negli ultimi due anni hanno cercato una serie di accordi, l'ultimo quello di Barbados dello scorso autunno, con l'obiettivo di togliere tutte le sanzioni in cambio della promessa di Maduro di consentire elezioni democratiche. Un sogno, per ora.

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