Venezuela, sequestri e torture. Gli agenti del regime scatenati

La dittatura porta avanti l'operazione "Toc toc" contro gli avversari politici. Ansia per gli italo-venezuelani Americo De Grazia e Williams Dávila

Venezuela, sequestri e torture. Gli agenti del regime scatenati
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Il presidente de facto del Venezuela Nicolás Maduro ha trasferito ieri nelle supercarceri di Tocuyito e Tocorón (nota per le torture e per essere gestita, sino a pochi mesi fa, dai leader dell'organizzazione criminale Tren de Aragua) le 2.500 persone arrestate negli ultimi dieci giorni nella Operazione «Toc toc» (Tun Tun in spagnolo), lanciata il giorno dopo le presidenziali. Toc toc perché si batte alla porta di tutti i non graditi al regime e li si sequestra. Come accaduto la notte del 6 agosto alla leader del partito Vente Venezuela (quello della leader dell'opposizione, Maria Corina Machado), María Oropeza, rapita nella sua abitazione da agenti della Direzione generale del Controspionaggio militare (Dgcim) che rispondevano agli ordini di Maduro. Tra questi spicca Alexander Granko Arteaga, il capo dell'Unità affari speciali della Dgcim, l'uomo incaricato dalla dittatura di portare avanti i lavori sporchi. Dall'assassino di Oscar Perez alla «pulizia etnica» degli indigeni nello stato Bolivar, sanzionato dall'Ue e dagli Usa per tortura e gravi violazioni dei diritti umani. «Aiuto, stanno entrando in casa mia. Stanno distruggendo la porta. Chiedo aiuto a tutti. Non sono una criminale. Sono solo una delle tante cittadine che vuole un Venezuela diverso e ho solo Dio e la Vergine dall'aria parte», è riuscita a gridare Oropeza in diretta su Instagram, dove circa 5.000 utenti la stavano vedendo quando sono entrati gli sgherri della dittatura dopo aver sfondato la porta. Il tutto, ovviamente, senza mostrare nessun mandato. Sequestratole il telefono e portandola via intimandole di camminare rapidito e di «collaborare», Oropeza da allora è desaparecida, scomparsa. Chi invece - sappiamo dalla figlia - in questo momento, è torturato ne «El Helicoide», centro di torture noto alla Corte penale internazionale nonché sede del Sebin, il Servizio di intelligence bolivariano, è l'ex deputato italo-venezuelano Americo De Grazia, che da anni denuncia i crimini del regime: sequestrato il 7 agosto, probabilmente mentre viaggiava in auto.

Picchiato a sangue nel 2017 in Parlamento dagli squadristi di Caracas, dopo essersi rifugiato nell'ambasciata italiana fu portato a Roma da una missione umanitaria di Pierferdinando Casini nel 2019 insieme a un'altra deputata italo-venezuelana, Mariela Magallanes. Fu lui tra i primi a denunciare l'imprenditore colombiano - prestanome di Maduro - Alex Saab per i suoi traffici su coltan, carbone, legname e oro tramite le imprese che gestiva prima del suo arresto; e stava cercando di risalire al nome delle aziende che avevano fatto da tramite anche se «è molto pericoloso indagare o fare denunce sui materiali preziosi che il regime contrabbanda dall'Arco Minero» disse. Lo dimostra la barbara uccisione dell'ex deputato del partito di Maduro Aldrin Torres e di sua moglie nel 2018: aveva denunciato che il Venezuela estraeva dall'Arco Minero 30.000 kg di oro l'anno, ben dieci volte più dei 300 kg al mese dichiarati e legalizzati dalla statale Minerven tramite il Banco Centrale del regime. Il tutto tramite un'azienda concessionaria «lecita» di Saab, che è tornato a dominare i traffici in Venezuela. «Saab gestisce le casse alimentari Clap, le pompe di benzina e i bodegones, ovvero i supermercati extra-lusso dove si riforniscono gli arricchiti del regime» aveva confidato De Grazia, prima di essere vittima, anche lui dell'«Operazione Toc Toc». Stessa sorte per il deputato Williams Dávila, ex governatore dello stato di Merida, sequestrato a Caracas anche lui mercoledì da individui armati e portato in una località sconosciuta con delle auto prive di targa, «poco dopo aver rilasciato un'intervista all'Adnkronos», conferma al Giornale Alessandro Bertoldi, direttore dell'istituto Friedman di cui Dávila era membro illustre.

Intanto la presidente della Corte Suprema Caryslia

Rodriguez, durante un'udienza sul discusso esito delle elezioni, ha dichiarato che le sue decisioni sono «definitive». Ma la maggior parte degli osservatori ritiene che il Tribunale di giustizia sia asservito al governo.

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