Quella verità "infoibata" sulla strage comunista di Vergarolla

Settantotto anni fa l'eccidio titino sulla spiaggia di Pola dove morirono oltre cento italiani. Sangiuliano: "Mai trovati i colpevoli"

Quella verità "infoibata" sulla strage comunista di Vergarolla
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Il 18 agosto del 1946 il mare di Pola è calmo. Placido. La gente è in spiaggia in un clima di festa perché i canottieri della «Pietas Julia» hanno organizzato una gara che non rappresenta solo un evento sportivo, ma anche un modo per restare legati all'Italia. Già perché ormai la guerra è persa da un anno e Pola è l'unica città dell'Istria a non essere finita sotto il controllo di Josip Broz Tito ma sotto quello britannico. I polesani sono in acqua oppure affacciati alla riva. Alle 14.15 un boato squarcia l'aria. È morte ovunque. Brandelli di carne si alzano in cielo e alcuni malcapitati vengono addirittura polverizzati. Qualcuno infatti ha innescato ventotto mine antisbarco ai bordi dell'arenile. È un massacro. Più di cento persone vengono uccise, un terzo dei quali sono bambini.

Ancora oggi, a distanza di 78 anni non si sa ancora il nome chi mise quelle bombe ma è chiaro - come giustamente ha ricordato il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri - chi furono i mandanti: «Si trattò di un atto dei comunisti di Tito per spingere gli italiani, come poi avvenne, ad abbandonare Pola e tutte quelle terre per lungo tempo italiane. È una strage per la quale non sono mai state accertate le precise responsabilità degli assassini, chiaramente titini. Vogliamo una verità negata da quasi ottant'anni».

Una verità non solo negata, ma anche infoibata. Volutamente nascosta perché imbarazzante.

Mentre tutto, in quel tragico 18 agosto, crolla, mentre la morte porta via le ultime speranze degli italiani rimasti in Istria, c'è, però, un uomo che non si arrende. Si chiama Geppino Micheletti. È un medico e in acqua, quel giorno, ci sono anche i suoi due figli, Carlo e Renzo, di soli cinque e nove anni.

Del primo si trova il corpo mentre del secondo resta solo una scarpina. Geppino viene a sapere che sono morti e, nonostante tutto, continua ad operare e a salvare vite per ventiquattro ore di fila. È stremato, immerso nel sangue e nella carne, ma non si ferma. Fa il possibile per chiunque passi sotto le sue mani. L'anno dopo la strage - come tanti, anzi come quasi tutti i polesani - lascia la città per trasferirsi in Italia. Del resto, come ha ricordato anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano (nella foto), «per quanto la vicenda sia avvolta da tanti misteri e, soprattutto, non siano stati trovati i colpevoli, è forte il sospetto che si trattò di una intimidazione per gli italiani della città. Da quel momento, e poi con il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, la quasi totalità degli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia abbandonò terre e affetti. La loro memoria per troppo tempo fu strappata dalle pagine del libro della storia d'Italia».

Oggi, ha proseguito il ministro, il nostro Paese «deve ricordare la strage di Vergarolla, le vittime innocenti e il medico eroe Geppino Micheletti per fissarli nella memoria collettiva da cui per troppo tempo sono stati esclusi».

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