La vera lezione cristiana di Forza Italia, quella indicata da Silvio Berlusconi nell'intervento di ieri sul Giornale, è che nessuno sia abbandonato. Forza Italia non può non dirsi cristiana; il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione della storia, trascinando dietro sé i suoi valori fino ad oggi. In primis il valore assoluto della persona, la sacralità di ogni essere umano, che arriva da Dio. Sul tema dell'identità cristiana, delle sfide ancora aperte in una società sempre più relativista e di come vivere l'autenticità cristiana nella vita politica, sociale ed economica del nostro Paese e dell'Europa, interviene monsignor Rino Fisichella, fine teologo, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
Quanto è difficile oggi testimoniare l'autentica identità cristiana?
«Ogni momento storico presenta le sue aspirazioni e le difficoltà. Il momento che viviamo non viene meno a questa condizione dialettica. Certo, stiamo vivendo un fenomeno culturale di profondo rinnovamento che porta con sé un cambiamento dei paradigmi a cui eravamo abituati. Ritengo che ancora adesso non si stia prendendo in seria considerazione il fenomeno della cultura digitale. Utilizzo volutamente il termine cultura perché il digitale non sono solo strumenti, ma è una vera cultura che sta cambiando il nostro linguaggio e per conseguenza i comportamenti e i valori di riferimento. Il cristiano non è estraneo a questo movimento. Si tratta di comprendere se lo subisce passivamente o se almeno ne prende coscienza e per quanto può essere possibile è in grado di orientarne il cambiamento. Non si può negare che parlando di identità si tocchi una problematica soggetta a diverse interpretazioni. Per un cristiano, comunque, il riferimento all'identità non è primariamente in rapporto alla propria condizione culturale e sociale, ma alla fede. Più di dieci anni fa ho scritto un libro dal titolo Identità dissolta in cui raccoglievo alcuni pensieri in proposito. Non ho cambiato idea. Il cristiano oggi non ha piena consapevolezza della propria identità perché non conosce i contenuti fondamentali della propria fede. È in atto una forma di dissoluzione che non permette più di comprendere i reali punti di riferimento normativi perché il forte relativismo culturale ha inciso anche nell'impatto con la fede e la morale. Il problema che si pone quindi non è tanto la condanna o meno dell'attuale momento storico, ma se e come è ancora possibile incidere per restituire una forte identità ai cristiani.
Quali sono i valori «non negoziabili» che esprimono l'identità di un cristiano? E come è possibile viverli nella politica e nella società di oggi?
«È necessario comprendere con coerenza l'espressione valori non negoziabili. I valori quando sono tali non possono essere negoziati perché cesserebbero di essere tali. L'espressione è entrata per la prima volta in un documento di Benedetto XVI che indicava il comportamento dei cattolici nella vita politica dei loro rispettivi Paesi. In questo contesto possiede tutto il suo significato. Viene chiesto infatti a quanti si impegnano in politica la coerenza con il proprio ideale di vita. Si deve riconoscere però che la politica vive in contesti di pluralismo culturale e quindi se da una parte un politico cristiano ha bisogno di mantenere salda la sua identità di fede, dall'altra deve essere capace della necessaria mediazione. Impegno estremamente delicato che richiede intelligenza e cultura. Spiace vedere politici cristiani che spesso hanno idee confuse in proposito e mancando di una convinta identità cedono al populismo dei sondaggi. Quando si fanno leggi che hanno una valenza etica bisogna anche avere la consapevolezza che nel giro di pochi anni si creano comportamenti consequenziali».
Si riferisce ad alcuni valori in particolare?
«Non si può negare che si sia modificato il concetto di famiglia, di coppia, di natura e della stessa vita. È davvero paradossale ai nostri giorni di conclamata democrazia assistere al dominio di un pensiero unico di matrice relativista che privo di dialogo smette di essere un pensiero. Rimangono solo le urla sguaiate di quanti conquistano presenze televisive imponendo il loro mediocre punto di vista. Un cristiano sa che la sua identità va coniugata anche con il senso di appartenenza a una comunità. Identità e appartenenza si coniugano insieme altrimenti si sfaldano i rispettivi contenuti. È evidente che oggi il senso di appartenenza alla Chiesa sia alquanto liquido, debole e ognuno lo modella a proprio piacimento a scapito della comunità che cessa di essere tale e diventa uno dei tanti gruppi. L'identità cristiana è modellata dalla fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio che ha rivelato il mistero della vita divina fatta di amore. Questo amore che giunge fino a dare la vita per tutti è il cuore dell'agire cristiano. All'identità cristiana comunque appartiene in forma determinante la speranza. La certezza cioè di guardare al futuro sapendo che il bene vince sempre sul male».
Il Papa ha più volte sottolineato che l'identità cristiana deve essere molto forte, così da darne anche testimonianza. È così?
«Da decenni si è teorizzato nell'ambito del pensiero filosofico il pensiero debole. Se la ragione diventa debole ne scaturisce che la fede si indebolisce, la politica pure e a cascata si indeboliscono le istituzioni facendo crollare il senso di responsabilità. È una condizione che non può essere sottovalutata pena la condanna al primato dell'indifferenza e dell'individualismo che ormai sono sempre più dilaganti».
E cosa può fare la Chiesa?
«Dovremmo fare un serio esame di coscienza per comprendere dove ha portato quella sofferenza. Mi sembra che la delegittimazione del pensiero a cui si assiste per un discutibile primato dell'azione sociale porti a un ulteriore indebolimento di una debolezza della fede e della sua testimonianza già vistosa. La testimonianza ha certamente un'efficacia ma se non è accompagnata da un'intelligenza che ne sappia esprimere le ragioni, rimane sterile e può essere confusa con una generica solidarietà. Sono colpito dal fatto che un santo come Giorgio La Pira abbia creato la messa dei poveri e oggi assistiamo alla sola mensa dei poveri. Uno slittamento che non è solo semantico».
La Chiesa è ancora in grado di contribuire all'universalizzazione dei valori, salvaguardando la propria identità?
«Per definizione i valori sono universali e riguardano tutti nessuno escluso. Noi cattolici siamo per natura universali. Come scriveva un antico autore: Ogni patria straniera è la loro patria e ogni patria è a loro straniera. Noi obbediamo alle leggi ma con il nostro comportamento dovremmo superare le stesse leggi. È l'insegnamento che in queste settimane sta dando Papa Francesco con le sue catechesi sulla Lettera ai Galati. Per noi, tutto ciò che è buono, vero e degno di essere amato viene da Dio e in qualunque cultura si trovi appartiene a noi. La nostra storia è colma di esempi che mostrano quanto impegno sia stato messo per creare consenso.
Certo, non sono mancati neppure esempi che riportano a situazioni di violenza ma leggerli oggi senza alcun senso storico porta a notevoli fraintendimenti. Noi dovremmo essere nel mondo con la stessa funzione che l'anima ha nel corpo».
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