Il Washington Post ha censurato una vignetta dell'autrice satirica Ann Telnaes. La vignetta mostrava Bezos, editore del giornale, insieme ad altri miliardari ex democratici, prostrati ai piedi di Trump al quale portavano sacchi di dollari. Osho, al secolo Federico Palmaroli, è uno dei vignettisti di maggior successo nei giornali italiani.
Osho, lei cosa ne pensa?
«Beh, era una vignetta nella quale l'autrice dava del servo all'editore del suo giornale. Mi sembra normale che sia stata censurata. Mi sarebbe sembrato strano il contrario».
Ma la satira non dovrebbe essere libera?
«Sì certo, deve essere libera. E io penso che se fai una vignetta contro Trump, anche se la linea del tuo giornale è dalla parte di Trump, è giusto che sia pubblicata. Qui il caso era un po' diverso. Non credo che in nessun paese al mondo si possa insultare pubblicamente il proprio editore».
Il Washington Post è il giornale del Watergate, il giornale con la schiena dritta, il tempio della libertà di stampa, il giornale che non guarda in faccia a nessuno... Ha guardato in faccia a Bezos? Allora c'è un limite alla satira?
«Lo dico fuori da ogni ipocrisia. Nessun giornalista si permetterebbe di scrivere un articolo contro il proprio editore. Una cosa è dissentire dalla linea, ma qui siamo su un altro terreno».
A lei è mai successo che un direttore le rifiutasse una vignetta irriverente?
«No mai».
Hai mai fatto vignette provocatorie?
«Sì, ho fatto vignette prendendo in giro Salvini o la Meloni sul mio giornale, che è un giornale vicino all'area di governo».
Ha fatto bene Ann Telnaes a denunciare la censura e a dimettersi?
«Beh, se fai una vignetta così, metti in conto che ti cacciano. Ho letto che comunque lei era ai ferri corti e comunque avrebbe lasciato».
Quindi un'azione preventiva?
«Sì, forse ha fatto harakiri per creare un caso, immaginando le conseguenze».
Qui da noi non succede?
«Qualche volta lo fa Fiorello in Rai: parla male della Rai. Ma la Rai è un editore collettivo, non si offende».
C'erano una volta i cortei con lo striscione: «Siamo tutti Charlie Hebdo». Non lo siamo più?
«Quella era una vicenda diversa. Si prendeva in giro la religione e quelli, gli islamici, sì sono incazzati e hanno fatto una strage. Qui non ci sono state stragi. Solo una scelta dell'azienda».
Ma era una vignetta spiritosa
«No. Era un attacco preciso e non ironico ad alcuni tycoon americani».
Quindi c'è un limite alla satira?
«Il buonsenso».
Ma la censura è un vizio della sinistra o della destra?
«In Italia non c'è censura sulla satira».
La censura è sempre sbagliata?
«Sì».
Anche nel caso di Tony Effe.
«Sì, in quella censura c'era tanta ipocrisia».
Mi descriva una vignetta che farebbe per commentare la censura a Washington.
«Ci devo pensare. Comunque prenderei in giro la mia collega».
Mi faccia anche una
vignetta per commentare il viaggio improvviso di Giorgia Meloni negli Stati Uniti per incontrare Donald Trump, il futuro presidente.«Trump e la Meloni che si mettono d'accordo per mandare Biden agli Ayatollah in cambio della Sala».
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