Una sorta di impazzimento collettivo che neanche lo stress del Covid spiega né giustifica: giorni e giorni in cui all'interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere la polizia penitenziaria prese il controllo dell'istituto fuori da ogni regola, tra pestaggi, torture, manganelli infilati nell'ano dei detenuti, proclami «adesso lo Stato siamo noi» e ordini «bevi l'acqua del cesso». É questo il quadro che l'ordinanza eseguita ieri contro 52 dipendenti dell'amministrazione penitenziaria dipinge di quanto accaduto tra il 6 e il 9 aprile all'interno dell'«Uccella», la grande struttura sull'Appia che ospita oltre ottocento detenuti. Nel pieno dell'emergenza pandemica, come altre carceri italiane l' «Uccella» fu teatro di violente rivolte. Per lunghe ore, il carcere campano restò in mano ai capi della rivolta, molti dei quali legati alla criminalità organizzata. Ma i metodi usati dalle guardie carcerarie per ripristinare l'ordine vanno al di là dell'immaginabile.
Che la Procura della Repubblica intendesse usare la mano pesante contro gli abusi compiuti all'«Uccella» lo si era intuito già un anno fa, quando quarantaquattro avvisi di garanzia per i pestaggi del marzo furono consegnati dai carabinieri ad altrettanti secondini: la risposta fu una protesta mai vista, con gli agenti della polizia penitenziaria arrampicati sui tetti dell'istituto, mentre i detenuti festeggiavano la retata con una nuova rivolta. E ieri arriva la botta finale, la retata che manda in carcere sei agenti, i più coinvolti nei pestaggi, colpisce con i domiciliari altri diciotto indagati e un'altra trentina con la sospensione dal servizio. Tra questi c'è il massimo responsabile in Campania dell'amministrazione penitenziaria, il provveditore regionale Antonio Fullone accusato di avere pianificato insieme ai comandanti delle guardie, e scavalcando il direttore del carcere, la repressione violenta della rivolta. Ma il totale degli indagati è impressionante, tra un'accusa e l'altra si parla di 117 agenti incriminati.
Nel mirino dell'inchiesta c'è il «Gruppo di supporto agli interventi», la squadra speciale istituita da Fullone il 9 marzo, dopo che i detenuti appena arrivati da Foggia a Santa Maria Capua Vetere avevano devastato l'istituto. Il 4 aprile nel reparto Danubio scoppia una nuova protesta per ottenere le mascherine antiCovid. Con il pretesto di una perquisizione generale («era il minimo segnale per riprendersi l'istituto», «il personale aveva bisogno di un segnale forte») le guardie il 6 aprile fanno irruzione nei reparti, pestando i detenuti, costringendoli a inginocchiarsi, facendoli rasare per umiliarli, denudandoli. Ma è solo l'inizio. Il detenuto Giuliano Zullo viene fatto passare in un corridoio umano di agenti, mentre passa lo prendono a calci e pugni, gli sputano addosso, gli urlano «sei un napoletano di merda», «vi dobbiamo rompere il culo, ora non state tranquilli neanche quando dormite, vi veniamo a prendere di notte». A un altro viene infilato in testa un secchio della spazzatura e lo manganellano mentre gli dicono «porco, sei un uomo di merda, sei una latrina». Dopo i pestaggi i detenuti vengono chiusi nel reparto di alta sicurezza, senza poter incontrare nessuno, in modo da poter smaltire i postumi. E ancora per un mese dopo la fine della rivolta le minacce continuano, per dissuadere i pestati dalla tentazione di sporgere denuncia.
Ad incastrare i responsabili, le immagini del servizio di telecamere che i vertici delle guardie non fecero in tempo a disattivare prima che i carabinieri mandati dalla Procura sequestrassero tutto. Ma ci sono anche le chat che gli agenti della penitenziaria si scambiano prima, durante e dopo l'operazione. «Ok domate il bestiame», dice uno il giorno prima dell'irruzione. L'indomani i gruppi whatsapp trasudano soddisfazione, «abbiamo ristabilito un po' di ordine, oggi ci siamo divertiti hanno dato anche per te, abbiamo fatto tabula rasa».
«É stato necessario il manganello, carcerati di merda, dovrebbero crollare tutte le carceri italiani con loro dentro». Ma quando i carabinieri iniziano a indagare il tono cambia: «Mo' succede il terremoto, pagheremo tutti, travolgerà tutti». «È stata gestita male e sta finendo peggio».
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