Virginia dice e non dice, come i vecchi dc

Un'autodifesa piena di tecnicismi giuridici che ricorda i discorsi sibillini di Moro

Virginia dice e non dice, come i vecchi dc

Roma - «Sia ben chiaro che quel che io vorrei chiedere non è di nascondere od ovattare la verità, ma solo di rispettarla nei suoi giusti limiti severamente definiti senza riguardo per nessuno e di rispettare insieme lo svolgersi delle iniziative che sono già state assunte per chiarire tutto quello che deve essere chiarito e sanzionare, quando ciò risulti giusto, tutto quello che deve essere sanzionato». (No, non è Virginia. Ti stai sbagliando... chi hai letto non è, non è Virginia... No, non puo' essere lei. Virginia non ha mai chiesto di più, chi sta sbagliando, son certo, sei tu).

No, non è Virginia Raggi. Sembra ma non è, all'epoca non era neppure un progetto di vita sulla stellina. Era Aldo Moro, Camera dei deputati, 31 gennaio 1968. Discorso difensivo sullo scandalo Sifar, roba grossa. Non cosette da cioccolatai come questa, lecca-lecca e bon bon alla crema. Quell'assessore alla Semplificazione di Virginia, per esempio. Semplificando semplificando, ieri è arrivata alla soluzione: «Non hanno mentito. Tacere è diverso che mentire». L'avesse detto in un Parlamento, gli atti avrebbero registrato a commento: «Boati di scherno, lazzi, frasi irriferibili».

No, non è Virginia, quella che nell'intervista più recente l'ha messa così. «Muraro mi ha garantito che non le è arrivato neanche un avviso di garanzia. Prima di giudicare vogliamo vedere le carte». Era la stessa persona che poche ore dopo è stata costretta ad ammettere che sì, ma, però, «siamo in attesa di conoscere le carte... al momento sappiamo solo che c'è un fascicolo aperto a suo nome... Si tratta di una contestazione generica e non c'è ancora alcun avviso di garanzia...». E ancora: «Come sapete bene l'avviso di garanzia arriva nel momento in cui il Pm... Fino a quel momento non è possibile conoscere con compiutezza i fatti dell'addebito. Per cui è improprio parlare anche di reato... L'unico che conosce tutto il fascicolo è il Pm». Ci fosse stato davanti Nanni Moretti, l'avrebbe presa a sberle: «Ma come parla? Come parlaaaa?!?». Ha preso il Parlamento per un'aula di via Giulio Cesare (tribunale civile di Roma, ndr), le interviste ai quotidiani per una transazione leguleia. Linguaggio d'azzeccagarbugli di cui pullulava la Pretura di una volta, e oggi (assai meno) i corridoi del Giudice di pace. Ricorda quel tale siciliano che, chiedendo notizie sul pretendente della figlia, si sentì rispondere: «Di fa non fa 'nente, ma si sentisi comi parla pare n'avvucatu».

No, non è la Raggi sindaco di Roma, non può essere lei, quell'avvocaticchio che si esprime come un dc di provincia dei tempi delle «convergenze parallele» (espressione, peraltro, la cui attribuzione a Moro pare essere leggenda metropolitana). Quel primo cittadino che segue la rovinosa strada scelta dal proprio assessore ai rifiuti - che almeno è parte in causa e non iscritta a M5S -, la quale sperava di divincolarsi dalla verità con quella pelosa constatazione: «Non me l'hanno chiesto, ahimé...». E Virginia, piuttosto che riderne con quel suo sorriso aperto e smagliante, trasparente fino all'infantilismo, è invece stata vista diventarne eco: «Nessuno ha mentito. Io non credo che nessuno mi abbia mai fatto la domanda sull'avviso di garanzia. Non c'è nessun avviso di garanzia. Se me lo avessero chiesto, avrei risposto quello che ho risposto qui».

No, non è Virginia. Non può essere lei.

Quella votata dalla stragrande maggioranza dei romani sulla base di un presupposto che è il sale e il marcio della democrazia: quelli che c'erano prima avevano fatto disastri, non c'era niente di meglio nell'urna. Piuttosto che palazzinari e approfittatori d'ogni risma, meglio una casalinga inesperta. Una casalinga magari sì, meglio. Ma un avvocaticchio furbetto no. Per favore, no.

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