Quando sei convinto che sia tutto finito, ecco il colpo di scena. La faccenda del “piano segreto anti Covid”, che si prolunga ormai da quasi un anno e che nel Libro nero del coronavirus (clicca qui) è stata ampiamente documentata, sembrava arrivata ai titoli di coda con la pubblicazione da parte del Ministero della Salute del “Piano” elaborato in seno al Cts. In tanti, nonostante fosse trapelato sui media, lo volevano ottenere ufficialmente: i familiari delle vittime, i deputati, i cittadini. Un desiderio di trasparenza che si pensava finalmente soddisfatto con il file caricato sul sito della Salute. E invece no. Sorprende scoprire oggi, grazie al ricorso al Consiglio di Stato presentato dal ministero, che in realtà quel documento non è affatto il “piano secretato” citato da Andrea Urbani nella ormai famosa intervista di aprile. E che quindi la vicenda non si è ancora conclusa.
Partiamo col dare un nome ai documenti, così da evitare fraintendimenti:
- Per “Piano Urbani” si intende il fantomatico documento citato dal dirigente nell’intervista.
- Con “Piano nazionale anti-Covid” ci riferiamo al “Piano nazionale sanitario in risposta ad una eventuale emergenza pandemica da Covid-19”, redatto dal Cts e pubblicato pochi giorni fa sul sito.
L'intreccio delle date
Saremo sinceri: eravamo convinti si trattassero dello stesso atto. E che l'incomprensione fosse il frutto di un errore di datazione (così ha scritto nel suo libro pure Speranza). Sappiamo infatti che il “Piano nazionale anti Covid” sorge e si consolida tra febbraio e marzo: il 10-12 febbraio nasce il gruppo di lavoro del Cts che deve elaborarlo, il 20 una prima bozza viene presentata a Speranza con tanto di slide, poi il Comitato lo analizza più volte fino al 2 marzo con l'approvazione nella sua “versione finale” (e secretata). Urbani invece nell’intervista al Corriere disse che “già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito”. Gennaio, dunque. Non febbraio o marzo. Abbiamo sempre pensato ad un errore, del giornalista o del direttore generale della Prevenzione poco importa: eravamo certi che il “Piano” citato da Urbani fosse quello di febbraio-marzo formalizzato dal Cts. Invece a quanto pare un “qualcosa” già c'era a gennaio, e non è ancora stato pubblicato.
L'incontro Speranza-Urbani
Torniamo allo scorso aprile. Pochi giorni dopo l'intervista, Speranza e Urbani si incontrano per parlare delle "incaute e inessatte" frasi pubblicate sui quotidiani. Nell'interlocuzione il dirigente smentisce "quanto riportato nell'articolo di giornale" e riconosce di aver rilasciato "dichiarazioni il cui contenuto è stato enfatizzato in alcuni aspetti significativi in alcuni dalla giornalista". Urbani spiega inoltre al ministro di aver “utilizzato l'espressione ‘piano secretato’ in quanto il ‘piano' era in elaborazione e il ‘secretato’ era riferito alle modalità con le quali operava il Comitato tecnico scientifico nei propri lavori”. L'avvocatura nel suo ricorso ne deduce dunque che a gennaio "non vi era alcun Piano pronto né un Piano segreto", e che i documenti cui si riferiva Urbani erano solo "le prime bozze elaborative di un futuro eventuale Piano, bozze che sono confluite, perdendo ogni distinguibilità, in ulteriori e successive più ampie elaborazioni”.
Come nascono i Piani
In sostanza, stando alla ricostruzione dell'avvocatura, i fatti si sarebbero svolti così. Verso fine gennaio la task force di Speranza lavora a un "qualcosa" in caso di pandemia. Il 10 febbraio il Cts decide di costituire un gruppo di esperti per lavorare su modelli di risposta ai diversi scenari possibili. Due giorni dopo, il 12 febbraio, il Comitato ascolta la relazione del prof. Merler e i suoi calcoli drammatici. A quel punto viene dato mandato “ad un gruppo di lavoro interno” di “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di piano operativo” contro il Covid. Gli esperti si mettono al lavoro e il Cts intanto acquisisce sia lo studio di Merler che altre “elaborazioni del Ministero della Salute”, prodotte anche utilizzando “il documento istruttorio qui definito come ‘Piano Urbani’”. Tradotto: l'atto citato da Urbani, prodotto dalla task force, sarebbe confluito in una elaborazione che poi il ministero avrebbe girato al Cts, che a sua volta lo avrebbe utilizzato per realizzare un più corposo “Piano nazionale anti-Covid”. Una catena di Sant'Antonio.
Cosa è davvero il Piano Urbani?
Resta però un enorme punto interrogativo: cosa è davvero questo benedetto “Piano Urbani”? L’avvocatura lo definisce un “atto preparatorio”, un documento “istruttorio”, una “bozza”. Quindi nega di fatto che sia un Piano vero e proprio. Ma come è possibile che il dottor Urbani se ne vada tranquillamente ai giornali a dire che sin "dal 20 gennaio” c'era "un piano secretato” spacciando per "pronta" una brutta copia? Ce ne vuole di fegato per far passare una banale “bozza” per un piano riservato, no? Inoltre Urbani assicurò che "quel piano" era stato "seguito" nelle prime fasi dell’epidemia. Come a dire: eravamo pronti, lo abbiamo scritto e pure applicato. Ma come si può "applicare" una bozza? Qui allora le possibilità sono tre: o Urbani, per smentire "vuoti decisionali" nello scorso gennaio, ha millantato con i cronisti un piano che nei fatti non c’era (il che sarebbe grave: il dirigente è ancora membro del Cts); o si fa confusione sulle date; oppure l’avvocatura si sta arrampicando sugli specchi.
Perché non rivelare la "bozza"?
Prendiamo comunque per buono il fatto che il Piano Urbani fosse solo "un mero documento di studio e istruttorio". Sorge comunque un altro dubbio: perché quando due parlamentari FdI (Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato) e non pochi giornalisti lo chiedono, viene più volte negato? In fondo, benché una "bozza", si tratta comunque di un documento rilevante: sono le prime informazioni da cui è partita l'azione del ministero, dunque di enorme interesse. Ma soprattutto: perché il ministero, Miozzo e pure Speranza confondo le acque citando più volte a sproposito lo studio Merler? Il motivo della mancata trasparenza per l’avvocatura sta nel fatto che i lavori del Comitato erano svolti “in forma riservata” e “il materiale istruttorio utilizzato dal Cts era classificato come ‘riservato’”. Inoltre, secondo l’Avvocatura, la legge permette sì ai cittadini di accedere ai documenti della pubblica amministrazione, ma non a tutti: non si possono avere "gli atti preparatori" prima che quello definitivo venga emanato. Ed è qui che casca l’asino: secondo il ministero, infatti, il "Piano Urbani" è "un atto interno ad un procedimento", cioè una bozza di natura "essenzialmente istruttoria e valutativa, senza un’investitura formale del ministero". Quindi Speranza non è costretto a pubblicato.
Fatto sta che, a questo punto, diventa dirimente sapere cosa fosse contenuto in quell’“atto istruttorio” citato da Urbani. Poco importa se era un “Piano” vero e proprio, oppure no. Chiamatelo “carciofo”, se volete: non è il titolo la questione.
Qui diventa politicamente scottante sapere quali informazioni erano contenute nel documento, così da capire se il ministero ha reagito correttamente nelle prime fasi della pandemia. Non è pignoleria, la nostra: si chiama trasparenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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