La vittoria di un'America che sogna in grande

Abbiamo assistito non tanto al confronto tra due proposte politiche, su fisco, industria, welfare, sanità e via discorrendo, quanto allo scontro tra due fronti culturali opposti

La vittoria di un'America che sogna in grande
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È stato un confronto tra due culture, non due ricette politiche. Negli Stati Uniti repubblicani e democratici, pur intestandosi politiche diverse, stavano entrambi dentro una visione condivisa della società e dell'economia: libertà personali, meritocrazia, libero mercato, iniziativa privata, fai-da-te. Insomma, l'America, quel Mondo Nuovo dove cogliere le opportunità, dove poter cominciare e ricominciare da zero. C'erano altre culture, diverse come la socialdemocrazia europea, mai condivisa da alcuna amministrazione democratica o repubblicana che fosse, o avverse come il comunismo sovietico, ma stavano fuori, erano degli altri.

Stavolta è diverso. Stavolta abbiamo assistito non tanto al confronto tra due proposte politiche, su fisco, industria, welfare, sanità e via discorrendo, quanto allo scontro tra due fronti culturali opposti, che da anni si muovono e crescono all'interno della società americana e adesso hanno forma e identità definite. Da una parte l'élite evoluta, colta o desiderosa di esserlo, benestante anziché no, convinta di incarnare la civiltà e ispirata dal movimento woke. Sebbene non tutti ne condividano certe forzature, nessuno di essi si sogna di metterne in discussione il credo. Come invece ha fatto, dall'altra parte, the Donald. Ha messo al centro quell'idea di società solita e solida con cui gli americani sono cresciuti e con cui vorrebbero crescere i loro figli. Un'America che tutto sommato non gli dispiace, dove si può aver studiato e fare il pranzo della domenica, dove corteggiare una donna non significa mancarle di rispetto, dove i neri erano schiavi ma ora non più ed è fantastico così ma andiamo pure avanti, dove le minoranze vanno tutelate ma sempre minoranze restano perché i numeri sono i numeri.

È questa la sostanza, anche se la forma fa storcere il naso. Per una cena a casa può anche piacere di più la Harris, ma alla Casa Bianca ci mandi Trump. Perché alla fine, nel gioco di occupazione degli spazi mentali, se uno dice «America first» ti sta comunicando che l'altro, l'oppositore, sosterrebbe «America second» se non addirittura «last». Se non vuoi un'America «great again» come la vuoi, «small/modest»? Non mi serve tempo per scegliere da che parte stare. Dentro queste parole semplici, finanche basiche, c'è tutto lo scontro tra le due culture.

Che male c'è a voler essere primi o grandi? Tutti lo vogliono, fin da bambini. Nessuno vuole essere l'ultimo, dai. Certo, i lib-dem delle università ti spiegherebbero che non è così bianco o nero, che è più complicato, molto più complicato. Bravi, è esattamente così che the Donald ha trionfato.

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