Bartolomeo Romano, ex consigliere del Csm, avvocato cassazionista e ordinario di diritto penale all'università di Palermo, spiega i motivi che richiedono due giorni di urne aperte per i referendum sulla giustizia e le amministrative del 12 giugno.
Silvio Berlusconi e i promotori dei referendum della Lega e dei Radicali chiedono un decreto a Mario Draghi per consentire il voto anche il lunedì. È necessario per combattere l'astensionismo dilagante?
«Mi sembra una richiesta giusta, in linea con l'esigenza democratica di garantire la più alta partecipazione al voto. Del resto, si tratta di una possibilità già realizzata altre volte in passato, necessaria soprattutto quando si vota, come in questo caso, praticamente in estate. Privare i cittadini di questa possibilità significa sostanzialmente limitare il voto».
Lei ne fa una scelta di democrazia, dunque.
«Assolutamente. Purtroppo, la Corte costituzionale ha già escluso dal voto proprio i tre referendum forse più appetibili, di richiamo per l'opinione pubblica, cioè cannabis, eutanasia e responsabilità civile dei magistrati. La Consulta ha operato chirurgicamente, e ho dubbi in proposito, sui temi più noti e dunque ha finito per incidere sul raggiungimento del quorum. Che ora si faccia un'ulteriore operazione di ostacolo sarebbe gravissimo».
E questo mentre il Parlamento discute, con molti ostacoli, della complessiva riforma dell'ordinamento giudiziario...
«La libera manifestazione del voto da parte del corpo elettorale serve anche da stimolo per le forze parlamentari che stanno appunto facendo grandissima fatica ad approvare la cosiddetta riforma Cartabia e a intervenire, da un lato, garantendo la separazione delle funzioni tra pm e giudice, vero cardine del processo accusatorio che discende dall'art. 111 della Costituzione e, dall'altro, operando una seria riforma della legge elettorale del Csm, in modo da contrastare lo strapotere delle correnti. A tal fine, l'unica proposta seria, semplice ma efficace, è quella del sorteggio temperato e cioè quella di sorteggiare un numero di magistrati multiplo, tra i quali le toghe potranno poi votare per scegliere chi effettivamente eleggere. La soluzione proposta dalla Guardasigilli in questi giorni, del sorteggio dei soli collegi, rischia paradossalmente di premiare i candidati più noti per meriti televisivi o comunque mediatici e non i più bravi nell'esercizio della funzione giudiziaria: se un magistrato viene votato solo in un distretto nel quale non lavora, e dunque non è conosciuto per quello, allora non lo si sceglierà per quanto ha fatto nell'esercizio delle sue funzioni, ma per altro».
Il ministro della Giustizia, nell'ultimo vertice di maggioranza ha spiegato ai rappresentanti dei partiti che sulla separazione delle funzioni non ritiene opportuno intervenire sulla legge attuale per cambiare il numero di possibili passaggi da giudice a pm o viceversa, perché in questo caso farebbe decadere il referendum su questo punto. È così?
«Potrei obiettare che la
soluzione sarebbe molto semplice: basterebbe che la Cartabia proponesse la stessa modifica chiesta dal referendum. In questo modo, il referendum non si celebrerebbe, ma proprio perché avrebbe già raggiunto il suo scopo».
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