Stefano Bonaccini si è detto orgogliosamente comunista, e non gli ha portato bene alle Primarie. Cosa pensi invece Elly Schlein delle falce e martello, questo non è dato saperlo. Il nonno materno, Agostino Viviani, era stato senatore socialista e poi candidato col Partito radicale negli anni Ottanta (quelli delle battaglie di Enzo Tortora).
Lei, la nuova segretaria Pd, aggrappandosi all'anagrafe - è nata nel 1985 - pochi giorni fa ha eluso una domanda sul (suo) comunismo. «Sono una nativa democratica - ha risposto pronta in a La 7 - quindi non ho potuto aderire al Pci». Avendone avuta l'opportunità, quindi, avrebbe aderito eccome. Soprattutto, ha dato l'impressione di considerare morta e sepolta quella storia, quando invece regimi i comunisti governano ancora una bella fetta della popolazione mondiale. Probabilmente non voleva deludere i suoi sostenitori Elly, e pure Bruxelles ha avuto la fortuna di scansare, per pochi mesi, un voto storico del Parlamento europeo, la famosa risoluzione sulla «memoria», che equiparava i regimi totalitari, nazisti e stalinisti. Era il settembre 2019, Schlein da un trimestre non era più deputata, però 9 mesi prima ha fatto in tempo a esprimere un voto su un «caudillo» che ai dittatori comunisti assomiglia molto, il venezuelano Nicolas Maduro. Nel gennaio 2019 si parlava molto del suo regime, che ha ridotto alla fame un Paese potenzialmente ricco, annientando ogni libertà, economica o civile. Sulla scena si affacciava intanto il suo antagonista, il presidente dell'assemblea nazionale Juan Guaidò, forte del sostegno dei Paesi democratici. Al Parlamento europeo, l'allora presidente Antonio Tajani si batté per sostenere quella chanche di democrazia per il Venezuela, e il documento passò con 439 sì, 104 no e 33 astenuti. Rivolgendosi a Guaidò, Tajani annunciò che il Parlamento lo riconosceva «come presidente ad interim del Venezuela», rammaricandosi per chi aveva deciso di astenersi, «senza schierarsi contro la dittatura di Nicolas Maduro». «Stiamo combattendo una dittatura comunista che affama il popolo» disse l'attuale ministro degli Esteri. Ebbene, fra i «no» c'era anche quello di Schlein. Di quel voto si parlò molto, perché spaccò il Pd e altri gruppi, ed Elly anche in seguito si difese: «Non sono mai stata pro Maduro», però quel suo «no» - come accade nelle democrazie anglosassoni - resta agli atti nel suo curriculum. E agli atti resta anche la sua posizione, più recente, sull'ultimo conflitto israelo-palestinese, maggio 2021, quando - al congresso di Articolo 1 - ha spiegato la sua idea, poggiata su un curioso principio, quello della «simmetria». «Non siamo di fronte a uno scontro simmetrico - ha avvertito - i rapporti di forza sono totalmente squilibrati a favore di Israele». Bizzarro principio quello del confronto «equilibrato», soprattutto se da una parte il pallino ce l'ha Hamas.
I suoi tweet scatenati di una decina di anni stanno facendo il giro della rete. In uno del 2014 sembra irridere Francesco Boccia, che ora potrebbe essere «suo» capogruppo. Resta tutto, nero su bianco. Come i voti, appunto. Dimostrano come Schlein sia per un'accoglienza totale dei migranti e contro i rimpatri. Su Maduro, Schlein (all'epoca deputata di «Possibile» di Giuseppe Civati) era andata oltre i 5 Stelle, mentre si è attestata sulla linea grillina sulla Tav nel 2018, quando è fallito il blitz per escludere l'opera dai finanziamenti.
E un anno prima aveva votato contro il Ceta, l'Accordo economico e commerciale globale tra Ue e Canada, «figlio di una stagione passata - disse - e di un modello vecchio, di liberalizzazione degli scambi, che ha contribuito a produrre gravi storture». Il modello «vecchio e storto» è quello della libertà degli scambi.
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