«Siamo in 25mila, e ripristineremo la giustizia in Russia». Erano le 22,34 (ora di Mosca) di venerdì quando il capo della Wagner Yevgeny Prigozhin annunciava quello che poi si è trasformato a tutti gli effetti in un tentativo di colpo di stato. Nel video l'oligarca denunciava il tradimento del ministro Shoigu, dell'esercito russo e del generale Gerasimov, colpevoli di aver effettuato attacchi missilistici sulle retrovie della Wagner nella zona di Kursk. Dopo l'assalto, in cui ci sarebbero state diverse vittime, Prigozhin ha annunciato di voler andare fino in fondo ed eliminare la leadership militare del Paese. Voleva la testa di Gerasimov, quella del ministro della Difesa Shoigu, ma in serata è stato convinto da Lukashenko a trattare.
Da venerdì notte le sue truppe hanno iniziato a muoversi verso il cuore della Russia, invadendo Rostov, dove è stato allestito il primo quartier generale (sbaraccato ieri sera). «Siamo stati vilmente ingannati - racconta in uno degli ultimi video diffusi in rete, prima che venissero bloccati -. Eravamo pronti a consegnare le armi, a trovare una soluzione su come avremmo continuato a difendere il Paese. Ma questa feccia non si è calmata. La nostra è una marcia della giustizia». Il ministero della Difesa russo ha provato a stemperare la situazione, parlando di «una provocazione mediatica che non corrisponde alla realtà». Putin però nella notte non ha potuto fare altro che dichiarare l'allerta generale, riferendo alla nazione di essere stato «pugnalato alle spalle, ma non si ripeteranno gli eventi del 1917. I traditori pagheranno». In un briefing con il ministro degli Interni Kolokolcev ha fatto la conta, scoprendo di potersi aggrappare solo alla fedeltà della Squadra speciale di risposta rapida, 3mila soldati della Guardia Nazionale chiamati a difendere Mosca, orfana del grosso dell'esercito impegnato in Ucraina. Anche i ceceni di Kadyrov si sono messi a disposizione.
Alle 11,30 Prigozhin ha annunciato la marcia sulla capitale, chiedendo ai «soldati di buona volontà» di disertare e unirsi alle sue milizie, e in molti l'hanno fatto. Si dice influenzati dal generale Sergej Surovikin, eminenza grigia del tentato putsch. Dopo aver invaso Rostov senza quasi colpo ferire (risultano due morti), i ribelli hanno preso il controllo di Voronezh, a 500 km a sud di Mosca. Alle 13 gli insorti sono avanzati fino alla regione di Lipetsk. Negli stessi istanti i social pubblicavano uno screenshot che mostrava il volo di un aereo governativo russo da Mosca a San Pietroburgo, sostenendo che a bordo ci fosse Putin. La notizia però è stata smentita dal portavoce Peskov. Con il trascorrere delle ore la marcia dei miliziani è stata implacabile e senza particolari intoppi. Solo le truppe di Kadyrov hanno provato ad attaccare il quartier generale a Rostov, mentre buona parte dei wagneriani si stava spingendo sempre più a nord. Nel tardo pomeriggio venivano segnalati a Barabanovo, ad appena due ore e mezza di distanza da Mosca, poi ancora più a nord, a Tula. Notizia questa che ha creato panico nella capitale, con migliaia di persone in fuga, i centri commerciali evacuati, così come gli uffici governativi. Mosca è blindata, con check point di militari e polizia in quasi ogni incrocio. Scene di caos agli aeroporti di Chimki e Domodedovo, dove migliaia di cittadini hanno tentato, invano, di imbarcarsi sul primo volo verso l'estero. In Bielorussia la leader dell'opposizione in esilio Tikhanovskaya ha chiesto a popolazione e militari di voltare le spalle a Lukashenko, e a Putin.
Poi in serata il colpo di scena: Lukashenko riesce a mediare con Prigozhin che ferma i suoi quasi alle porte di Mosca: «Non vogliamo spargimenti di sangue». Frase che probabilmente nasconde un accordo con il Cremlino per un indulto e il contestuale siluramento di Gerasimov e Shoigu.
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