Seduto su una poltrona, quasi immobile. Ferito. Il volto coperto da una kefiah, il corpo da uno strato di polvere effetto dell'attacco contro il suo ultimo covo. Dopo alcuni secondi di inerzia, alza il braccio e lancia un bastone contro il drone israeliano che lo sta filmando. È l'ultimo atto di guerra di Yahya Sinwar. Ed è anche l'esatto momento in cui il capo di Hamas capisce che per lui è davvero finita. Il video diffuso dall'esercito israeliano mostra gli ultimi istanti di vita del leader del gruppo terroristico palestinese, il macellaio di Khan Younis, la mente di quel maledetto 7 ottobre. Il leader che pareva un'ombra inafferrabile. E in quell'immagine, seguita a quella del suo corpo tra le macerie e che ha fatto il giro del mondo, c'è tutta la parabola di Sinwar.
«È stato ucciso con un colpo di pistola alla testa» ha confermato il medico legale Chen Kugel che ha effettuato l'autopsia. Il capo dell'Istituto forense israeliano ha riferito che Sinwar era abbastanza pallido, conferma che abbia trascorso buona parte del suo tempo nei tunnel, pesava 68 chili ma mostrava «pochi segni di una cattiva alimentazione», segno del fatto che la fame e gli stenti erano riservati ai civili palestinesi, secondo il più classico degli «armiamoci e partite» perpetrato da chi si fa scudo della popolazione. Kugel ha aggiunto che per accertare senza ombra di dubbio l'identità del capo di Hamas, ferito anche a un braccio, i militari israeliani gli hanno tagliato un dito per favorire l'esame del Dna. Il suo corpo si trova ora in Israele e non ci sono ancora notizie su quando, come e dove sarà sepolto, solo si sa che quasi certamente avverrà in un luogo segreto.
Un altro video diffuso dall'Idf, sembra chiarire anche la dinamica del blitz che ha portato all'uccisione del ricercato numero uno di Israele. Un carro armato spara contro la casa dove Sinwar si era rifugiato dopo uno scontro a fuoco nel Sud della Striscia di Gaza. I militari hanno riferito di aver individuato tre miliziani che stavano fuggendo tra gli edifici, uno dei quali era proprio Sinwar. Bloccati gli altri due, è stato sparato un di carro armato nel rifugio temporaneo del leader, poi raggiunto da un colpo di pistola alla testa sparato da un soldato, forse una recluta, uno di quelli che prima del 7 ottobre dello scorso anno non avrebbe mai messo in conto di dover imbracciare un'arma di lì a breve. Poi il primo riconoscimento, sommario ma quasi certo, da parte degli stessi militari israeliani. Le orecchie grandi e un po' a sventola, gli zigomi sporgenti e quel volto presente in tutte le immagini e identikit dell'uomo più ricercato della Striscia. Sì, era davvero lui.
Secondo quanto ricostruito, Sinwar avrebbe trascorso almeno il 90% del tempo dallo scorso 7 ottobre nascosto nei tunnel realizzati da Hamas, coordinando le operazioni di guerra e comunicando con l'esterno, anche con i familiari. In alcune abitazioni usate come covo, i militari hanno rinvenuto la corrispondenza del leader ucciso, tra cui le lettere al figlio di 10 anni. Sia quelle ricevute che quelle inviate, fornirebbero a Tel Aviv informazioni utili per capire le dinamiche di Hamas nella Striscia. È proprio durante un trasferimento, uno dei tanti, tra un covo e l'altro, nel momento in cui voleva spostarsi a Nord della Striscia, nell'area di al-Muwasi che Sinwar sarebbe stato identificato e poi ucciso.
A incastrarlo sarebbero state alcune tracce di Dna che i soldati avevano raccolto settimane fa in un covo sotterraneo in cui si nascondeva, distante solo poche centinaia di metri dal tunnel in cui sei ostaggi erano stati assassinati ad agosto. Ora di lui restano solo quelle immagini simbolo. E la lunga scia di sangue che Sinwar porta con sé.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.