In conclusione, a sinistra, più o meno tutti hanno ottenuto una bandierina: Renzi ha incassato il cambio a Palazzo Chigi e i 5 Stelle hanno avuto il via libera al ministero della Transizione ecologica. C'è poi il Partito democratico che, almeno per il momento, non è riuscito a portare a casa un risultato con la relativa firma. Effettivamente la strategia adottata da Nicola Zingaretti dall'inizio della crisi non ha apportato chissà quali vantaggi ai dem: prima si sono immolati sul nome di Giuseppe Conte, poi hanno provato a mettere un veto sulla Lega e alla fine (le veline) hanno minacciato un appoggio esterno pur di non sedersi al tavolo con Matteo Salvini. Il Pd è riuscito nell'impresa di rimangiarsi di tutto da un mese a questa parte, per restare in gioco e far parte dei governisti a tutti i costi.
Anche al Nazareno gli animi si fanno sempre più agitati, con le varie correnti che tengono a dire la loro e a far pesare la propria posizione. Comunque nella giornata di ieri comitato politico del Partito democratico ha espresso un sostegno unanime alla proposta del segretario: proseguire sulla strada del progetto dell'esecutivo a guida Mario Draghi. Ma dietro le quinte si consuma uno scontro infuocato, che vede il governatore della Regione Lazio al centro delle polemiche: "Qualcuno, prima o poi, dovrà pagare per la fallimentare strategia tenuta dal partito durante la crisi di governo".
Zingaretti nel mirino
Si va ripetendo, con una certa dose di nervosismo, che Italia Viva è riuscita a tenere tutta la maggioranza sotto ricatto e a guidare dall'esterno le mosse del Pd: "Ci siamo fatti mettere nel sacco da un partito del 2%". Si continua a ripetere che Matteo Renzi potrebbe riprendersi il partito - magari con una diversa leadership, come vi avevamo già detto - ma dal Nazareno invitano a non discutere sulla questione perché "sulla segreteria si voterà tra due anni". In realtà è proprio il nodo segreteria che a breve potrebbe sciogliersi definitivamente: le elezioni locali rappresentano un appuntamento cruciale per le sorti dello stesso Zingaretti.
Saranno chiamate al voto importantissime città come Milano, Napoli, Roma e Torino. E se le consultazioni dovessero fallire, sulla graticola finirebbe ancora di più la segreteria. Ecco perché soprattutto in questi giorni si spinge per l'alleanza strutturale con Movimento 5 Stelle e Liberi e uguali. Anche perché tra i dem, scrive Marco Antonellis su Italia Oggi, un big guarda con attenzione il probabile ritorno anticipato alle urne per le Politiche: "Questo governo arriverà fino alla nomina del capo dello Stato e poi ci sarà il voto. Dobbiamo tenerci pronti".
La battaglia sui ministri
A far esplodere il Pd ci si è messa anche la battaglia sui ministri: la definizione della squadra inevitabilmente peserà sugli equilibri interni. Oltre alla conferma di Dario Franceschini alla Cultura e di Lorenzo Guerini alla Difesa, si punta all'ingresso di Andrea Orlando alla Giustizia. L'ostacolo tuttavia è imminente: potrebbe esserci posto solo per 2. E se nel segno della continuità venissero confermati i primi due, il presidente del Lazio potrebbe assistere presto allo spostamento dell'asse politico del governo. Effettivamente, fa notare Laura Cesaretti su ilGiornale in edicola oggi, Guerini è a capo della minoranza interna, molto forte nei gruppi parlamentari: l'attuale guida potrebbe essere estromessa nel momento in cui si iniziasse a manifestare il pressing di chi punta a un congresso.
Recentemente è circolata pure l'ipotesi di far entrare Zingaretti nell'esecutivo per non essere tagliato fuori dalla cabina di regia della prossima fase politica.
Ma anche su questo fronte non riesce a trovare pace. "Se entri tu al governo dai via libera all'ingresso di Salvini. E per noi un governo con Salvini diventa insostenibile", gli fanno notare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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