Popolo, Pasolini, paesaggi. Il mondo di Zigaina, lo scrittore di quadri

Il pittore amava i proletari e il suo Friuli. Dipinse opere per "Teorema" e recitò nel "Decameron"

Popolo, Pasolini, paesaggi. Il mondo di Zigaina, lo scrittore di quadri

Quando di una persona si dice che ha un «carattere forte» o «deciso» vuol dire che è difficile averci a che fare. Siccome di lui lo dicono praticamente tutti, famigliari compresi, dobbiamo dedurre che Giuseppe Zigaina fosse un artista e un uomo a cui non era facile stare intorno (questo lo rende, allo scrivente che non l'ha mai conosciuto, particolarmente simpatico). Forse se non fosse vissuto così isolato, nella sua Cervignano del Friuli, terre basse di argini e pioppeti, poco sopra la Laguna di Marano, chiuso per una larga parte del tempo della vita (limiti anagrafici: 1924-2015) nella sua casa studio progettata da Giancarlo De Carlo, lavorando di pennello e di stilo, sarebbe diventato più famoso, ma artisticamente meno interessante.

D'altronde non c'era neanche bisogno che si muovesse tanto. Il mondo andava da lui, quelli che oggi così volgarmente e fuori luogo si chiamano vip, ma che allora very importante people erano davvero, vedi Pier Paolo Pasolini o Maria Callas, o Giangiacomo Feltrinelli o, più tardi, Guglielmo Epifani. Quest'ultimo in relazione al fatto che Zigaina aveva sposato le rivendicazioni dei braccianti, era comunista quando la dialettica destra-sinistra aveva un senso e una ragione, dipingeva in stile neorealistico, raffigurando braccianti, contadini, pescatori, donne e bambini del popolo. E poi biciclette, vanghe e falci; gli strumenti del lavoro fisico, insomma. Qui siamo negli anni Quaranta e Cinquanta, ma per costruirsi un'idea di base dell'arco evolutivo di Zigaina basta fare un salto nella galleria di Alberto Montrasio, che ha allestito una mostra nei suoi spazi milanesi di via di Porta Tenaglia (fino al 29 novembre) per il centenario della nascita all'artista, «Zigaina 100. Anatomia di un'immagine».

«Ho scelto queste opere della mia collezione - spiega Montrasio, che con Zigaina ha intrattenuto per anni rapporti amichevoli - una per decennio, per illustrare le fasi principali del suo percorso artistico». E infatti si passa dalla tempera su tela Bambini che giocano, del 1948, a Steccato e biciclette (olio su tela) del 1957, alle maggiori dimensioni di Generale all'assalto (olio su tela, 1960), in cui il tono si fa caricaturale e parodistico, a Capra e cuore (olio su tela, 1969), molto più informale, e dove prevale l'elemento simbolico. Nel frattempo si erano succedute le vedute del paesaggio, le ceppaie soprattutto, gli alberi, le strade, i campi, il cielo, i fulmini.

Per gli eventi del centenario, anziché organizzare una grande retrospettiva si è preferito concentrarsi su una serie di appuntamenti che avessero come nodo la casa di Zigaina, acquisita dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, e sviluppati anche fuori sede, per esempio con la mostra all'Istituto centrale per la Grafica, palazzo della Calcografia, a Roma (fino al 17 novembre).

A questo punto di Zigaina si possono dire tre cose importanti. La prima è che fu attivissimo nel campo dell'incisione, dell'acquaforte. Per ottenere un segno marcato usava uno stilo che pareva rappresentare anche uno strumento di scrittura. Egli stesso affermava che la sua attività «è sempre stata sul punto di trapassare dal segno grafico al segno scritto-verbale». Il secondo punto, fondamentale per capire la sua vita e l'articolazione del suo pensiero, è il rapporto molto stretto con Pier Paolo Pasolini (che passava le vacanze estive a Casarsa). Si incontrano a una mostra. Pasolini che pure disegna e dipinge, subisce l'influenza di Zigaina. L'amicizia fra loro dura fino alla fine, nel frattempo Zigaina dipinge quadri che appaiono nel film Teorema, e recita nel Decameron. È lui inoltre ad accompagnare il regista in ricognizione nella laguna e a indicargli quella che sarà poi una delle location di Medea, dove reciterà Maria Callas.

Francesca Agostinelli, che ha curato il programma di «Zigaina 100» insieme a Vanja Strukelj, ha conosciuto il pittore friulano quando lui aveva 87 anni, per un'intervista che si è poi ampliata in una serie di incontri in cui l'artista ha voluto raccontare la propria vita, a condizione che si omettessero i suoi rapporti con il Partito e con la Chiesa. «Diciamo - spiega Agostinelli - che ho raccolto il prodotto di una memoria selettiva». Il maestro preferiva parlare di quando, a seguito delle tensioni che avevano segnato il festival del Cinema di Venezia nel 1968, organizzò con Pasolini un Controfestival nel 1969, a Grado, dove il regista presentò Porcile, sostenendo che «a Venezia ci sono più porci che nel mio film». In più, Agostinelli nel corso delle sue ricerche biografiche su Zigaina ha trovato 19 disegni di Pasolini.

Montrasio racconta che Pasolini incontra una sola volta Giangiacomo Feltrinelli, proprio a casa di Zigaina. I due non si piacciono. All'intellettuale, che ha in orrore la violenza, non va giù lo strambo progetto di una rivoluzione armata. Come sappiamo, il 2 novembre 1975 il poeta viene assassinato. Pesantemente scosso, Zigaina elabora una teoria, che si trova in tre volumi pubblicati da Marsilio, intorno a una morte che sarebbe stata progettata sistematicamente e per anni dallo scrittore. Un'elaborazione del lutto, forse, non priva però di qualche fondamento teorico, e tuttavia malamente accolta dagli esegeti dello scrittore scomparso.

Un'ultima circostanza, misteriosamente negletta nei pur approfonditi scritti critici sull'artista friulano, è che a Zigaina mancava il braccio destro, perso da bambino in un incidente. Il fatto di essersi dovuto rassegnare a vivere da mancino, non solo determinò la sua tecnica, ma fece anche scaturire in lui, da grande, riflessioni sul funzionamento del cervello, sulla distribuzione delle facoltà nei due emisferi. Finché anche nella sua pittura dell'età più tarda comparve, collocata in cielo, una figura simbolo, un «cervello-astronave» incombente su un paesaggio ormai astrattizzato. Del resto lui affermava: «Arriva un certo momento che il territorio e noi stessi siamo la stessa cosa». Natura, territorio, anima, finiscono per combaciare. Anche se dipinge cose sognate, di se stesso e della sua arte dice: «Devo camminare nell'erba perché ne ho bisogno come di un cieco del bastone».

Per chi si voglia avvicinare alla sua opera, anziché addentrarsi subito negli aggrovigliati testi specialistici, conviene organizzare una gita a Cervignano, visitare la casa che ha il suo fulcro in una macina da mulino

utilizzata come desco conviviale e in seguito percorrere l'asse Palmanova-Aquileia-Grado, nel paesaggio friulano verde, popolato dagli animali e dalle piante che lui dipingeva, insetti, uccelli, girasoli; verso la laguna.

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