Niente attira i lettori quanto la promessa di una rivelazione, figurarsi poi se la rivelazione riguarda il cold case più celebre della storia dell'emigrazione negli Stati Uniti, l'eccidio di New Orleans. Una mattina del 1891 alcune migliaia di americani guidati da un avvocato, un imprenditore e alcuni politici entrarono nella prigione cittadina e massacrarono undici italiani, appena assolti da un processo per omicidio. A promettere di gettare nuova luce sulla vicenda fu Giose Rimanelli all'inizio di uno dei suoi romanzi più riusciti, di cui le pagine sull'eccidio, illuminanti e magistralmente scritte, costituiscono solo un aspetto: Una posizione sociale (Rubbettino, prefazione di Anna Maria Milone e nota di Arnaldo Colasanti).
Nato nel 1925 a Casacalenda, in Molise, trasferitosi in America nel 1960, Rimanelli è stato promotore dei Cultural Studies, disciplina attenta alle intersezioni fra arti, musica e letteratura, ma da noi è noto soprattutto per Tiro al piccione, opera emblematica della «letteratura dei vinti», come furono chiamati i romanzi che raccontavano le vicende di chi, dopo l'8 settembre del 1943, aveva aderito alla Repubblica Sociale. Composto dopo la guerra, Una posizione sociale comparve nel 1959 per Vallecchi. Il titolo, preso in prestito da un romanzo di Stendhal, non è casuale, vista la seduzione che le cause perse esercitano sui personaggi. Al centro - siamo negli anni '30 del secolo scorso - c'è una famiglia molisana allargata e felicemente disfunzionale. Francesca Niro, madre di due ragazzi uno dei quali è Massimo, il narratore, è al settimo mese e teme di dover partorire da un momento all'altro. Il marito, Enrico, è un problematico, stralunato geometra. Del vicinato fa parte un'ex attrice, Stella, che di sera passeggia in vestaglia dietro le tende («Usava Coty, come tutte le signore. Quel profumo, sulla sua pelle, dischiudeva alla fantasia pomeriggi inopinabili. La frase apparteneva a mio padre. Quali pomeriggi, geometra? scoppiava a ridere Stella»). Covo di cospiratori musicali è il Salone del barbiere, dove viene spedito Massimo «per imparare cosa significa il lavoro; perché il mondo va a sinistra, non c'è da discutere. Domani i figli di papà faranno ridere». La madre è contraria: i garzoni vengono mandati a fare commissioni anche dove non dovrebbero, «per esempio da Rosa Menna», moglie infedele (per necessità) di un antifascista. Il Salone dispone di violino, chitarra e contrabbasso, ma per giocare alla jazz band è indispensabile la tromba del nonno Dominick tornato dall'America: «Suonava quando gli girava, e quando gli girava spesso era notte e il paese si era già messo a dormire».
A metà del romanzo, quando ci si è abituati al prolungato, sonoro, ebbro sogno a occhi aperti che costituisce l'incanto di queste pagine, nonno Dominick sollecita la memoria e racconta la cronaca del linciaggio annunciata: dal sogno, si passa all'incubo. Con un po' di fantasia, Una posizione sociale si potrebbe riguardare come un Cristo si è fermato a Eboli alternativo, perché alcuni elementi sono gli stessi: l'ambientazione in un paese del Meridione negli anni del fascismo, la presenza di un pittore, la figura dell'emigrante, la centralità delle donne...
Ma, al posto della surcigliosa condiscendenza di Carlo Levi, un tripudio di dialoghi folli e un umorismo nero che sfuma la differenza fra sogno e realtà, successo e fallimento, personale e collettivo. Nessuno iato, qui, fra l'intellettuale e la working class, la musica accomuna tutti. Si capisce che Rimanelli era pronto per la democrazia americana.
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