«Possiamo darci del tu?» E Spadolini, gelido, rispose: «Faccia lei»

Caro direttore,
nel linguaggio comune si assiste a un uso sempre più frequente delle parolacce. Credo che l'uso ricorrente del turpiloquio sia attribuibile a due concause: il forte indebolimento nella condivisione di norme di comportamento cui attenersi, in primis la scuola, con il trionfo dell'anticonformismo a tutti i costi. L'imposizione di un «italiano standard» è stata considerata reazionaria, prevalendo così la spontaneità espressiva per esempio dei dialettismi. Il tutto associato a una totale indifferenza nei confronti dell'ortografia, della struttura compositiva di un testo, della tradizione letteraria nazionale. Il risultato? Giovani generazioni con evidenti lacune nella capacità di scrittura e un'espressività ridotta ai minimi termini e riempita dal turpiloquio. L'altra causa è la predominante informalità: ci si da del tu, ci si veste a prescindere dalle situazioni, ci abbracciamo e ci baciamo anche se la conoscenza reciproca è fresca di qualche ora, e naturalmente parliamo anche come ci pare.
Mauro Luglio - Monfalcone (Go)

Avendo già parlato più volte su queste pagine della maleducazione, caro Luglio, vorrei soffermarmi invece sul particolare del «tu». E per farlo le citerò alcuni brani di un bellissimo libro («Coraggio, il meglio è passato), del nostro vicedirettore Michele Brambilla, che è uscito da poco e che consiglio a tutti. «Mi fa un certo effetto - scrive Brambilla - sentire come i bambini di oggi parlano della loro maestra, anzi dei loro maestri: “La Monica mi insegna questo, la Claudia quest’altro, poi c’è Giovanni che viene in classe il mercoledì”. Quando li incontrano li salutano così: “ciao Monica, ciao Claudia, ciao Giovanni”. Ai nostri tempi c’era una sola maestra, anzi una sola “signora maestra”, e ricordo il sacro terrore con cui ci rivolgevamo a lei».
«A proposito del tu alla maestra», continua Brambilla che qui saccheggio volentieri perché su questi temi è insuperabile e perché è la ricompensa che deve pagarmi per la citazione in questa rubrica, «credo che i bambini siano del tutto incolpevoli: il “lei”, in Italia, per una ventina d’anni abbondante è stato bandito come residuo degli ipocriti formalismi d’antan. Non che il darsi del “tu” sia un fatto negativo, però a volte il “lei” serve per riconoscere, se non una distanza, un rispetto per l’autorità. Una volta era d’obbligo anche tra i rivoluzionari. Un giorno dell’immediato dopoguerra, l’allora segretario del Pci Palmiro Togliatti fu interrotto durante una riunione di cellula di periferia da un giovane militante che gli eccepì: “Il tuo discorso contiene un errore”. Togliatti replicò: “Mi aiuti a ricordare, compagno, quando io e lei ci siamo conosciuti”. Negli anni successivi, alla mitica contestazione del Sessantotto, si cominciò a dare del tu a tutti: al segretario di partito, al prete dell’oratorio, al capufficio, al preside. Una storica svolta è dell’inizio degli anni Ottanta e porta la firma di Emilio Fede che, all’epoca telegiornalista Rai, intervistò in diretta il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini incalzandolo con un “tu, presidente”. Spadolini dovette abbozzare, subendo lo spirito dei tempi.

Eppure, mi raccontavano i vecchi colleghi, quando lo stesso Spadolini si presentò ai giornalisti del “Corriere” come nuovo direttore (fine anni Sessanta) un cronista rischiò il licenziamento per avergli chiesto: “Possiamo darci del tu?”. “Faccia lei”, rispose gelido Spadolini, in stile Togliatti».

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