Potenti sono storia e scienza di Galileo. Le nostre scelte però sono più importanti

Al "Piccolo" di Milano una riuscita interpretazione del classico di Brecht

Potenti sono storia e scienza di Galileo. Le nostre scelte però sono più importanti

Uno spettacolo sull'umanità, la morte, il maschio e la femmina di fronte alle possibilità dell'esistenza. Non sembra ci siano legami con la vicenda di Galileo Galilei e la sua abiura. E invece Andrea De Rosa e Carmelo Rifici - con una regia multilivello per tempo, spazi ed emozioni e di millimetrica consapevolezza - hanno centrato il cuore della tensione contemporanea: non tanto dove andiamo ma perché ci andiamo, che cosa ci muove e che cosa ci fermerebbe di fronte all'abisso del disumano. Scritto da Angela Dematté e Fabrizio Sinisi con la collaborazione come dramaturg di Simona Gonella, Processo Galileo (al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino al 15 gennaio, dove è già quasi tutto esaurito, poi in tournée) è sicuramente un riuscito comma dell'oggi all'opera dedicata all'astrofisico del cannocchiale da Bertolt Brecht. Ma è soprattutto una felice unione di vicino e lontano, di intimo e galattico: proprio come si fa con il cannocchiale, punta infatti all'inizio lo sguardo verso la condanna allo scienziato per aver mosso la terra e messo il sole al centro, che costò a Galileo la rinuncia pubblica alle proprie scoperte, poi si allarga alla volta celeste, contando le stelle una ad una, poiché Galileo «spaccò il cielo». Poi però torna giù, a contemplare l'orto e la vita domestica, con le proporzioni frustranti ma commoventi dell'occhio umano.

Se protagonista è infatti un ottimo Luca Lazzareschi nei panni di Galileo, deuteragonista è Angela in un processo che ricalca l'autofiction così in tendenza a teatro e in letteratura che deve scrivere un articolo su scienza e vita e non vuole «essere banale». Angela/Catherine Bertoni de Laet, ma soprattutto sua madre - una Milvia Marigliano strepitosa, che riduce con potenza la realtà dalle stelle al suolo sono la crisi, la coscienza, l'individuo lacerato, dall'etica e dalla ricerca del divino, dalla morte e dalla finitezza, di fronte al galoppo sfrenato della scienza e della politica. Rispettati i dettami della ricostruzione storica, questo processo è quindi alla fine più a noi stessi che a Galileo, in un gioco di sguardi diacronici che la regia rende semplice e al contempo doloroso: in scena ci sono la storia e la scienza, che paiono infinitamente grandi, ma si riducono a nulla di fronte alla responsabilità individuale.

A richiamarla uno dei ragazzi e il suo monologo sulla abiura dei nostri giorni: delusi e annientati dall'ostilità del mondo, i giovani scelgono di abiurare alla partecipazione e alla presenza. Un'ora e mezza o poco più che scorre via lasciando dietro di sé le domande di sempre rigenerate e ricaricate a salve, per colpirci un poco più a fondo.

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