«Immaginatevi nel 1910 in un bar del North Carolina, tre anni dopo il primo volo a lungo raggio. Due esperti stanno discutendo l'invenzione dei Fratelli Wright, quello pessimista dice: Bisogna fermare quella macchina! Presto avremo qualcuno che ci butta delle bombe sulla testa per farci esplodere. Il suo collega ottimista replica: Non ti rendi conto, un giorno potremo andare da San Francisco a Roma in meno di mezza giornata, riposandoci, guardando un film e mangiando ottimo cibo. Ecco, il problema è questo: hanno ragione entrambi».
L'intelligenza artificiale è un punto interrogativo che non ha una risposta certa, e forse non l'avrà mai. In fondo è la storia dei grandi dubbi dell'umanità che poi però ci hanno portato fino a qui, sulla strada di un progresso che sta prendendo il volo, un po' come quell'aereo che ai primi del Novecento era ancora fantasia. Jerry Kaplan il suo domani lo leggeva da bambino e poi lo ha creato, facendo diventare realtà quello che era solo un sogno, «sorprendentemente, direi». Informatico, docente, imprenditore (con la sua Go Corporation ha ideato un software per i tablet da usare con uno stilo digitale quando l'iPad era ancora lontanissimo nella testa di Steve Jobs), nonché saggista americano oggi 72enne, è stato ospite a Milano a «Intersections», l'evento organizzato da Iab Forum e If! Italians Festival su marketing e comunicazione ai tempi dell'Ia. Proprio perché ha passato una vita a chiedersi cosa le macchine potessero fare per noi e ha poi tradotto la sua esperienza in un libro, Generative AI (Luiss University Press), che è un riassunto sulla storia, rischi, regole, etica e filosofia di un mondo che non è più futuro. Perché è oggi. La sua è una storia nata col Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov e con 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick («è stato il mio Primo Contatto»), il resto è venuto facendosi continuamente domande.
Proprio Asimov scrisse L'ultima domanda, il racconto di una serie di questioni rivolte a una macchina. Cominciata da un programmatore e finita con l'umanità diventata un computer che accende la luce della Creazione.
«In effetti mai come oggi le domande sono il centro di tutto: per far guidare al meglio l'intelligenza artificiale bisogna fare quelle giuste. Ed è per questo che gli ingegneri stanno studiando sempre di più: come persuadere i computer ad andare nella direzione corretta. Sarà uno dei mestieri indispensabili del prossimo futuro».
La domanda è ciò che divide i rischi dalle opportunità.
«L'Ia Generativa è una tecnologia potente, qualcosa che non c'è mai stato nella Storia umana. Verrà utilizzata in tantissimi campi di attività e potrà darci benefici incredibili. Il problema di fare domande è che ancora non immaginiamo quante cose sarà capace di fare per noi, quante killer application avremo nei nostri smartphone. Ma in passato è già successo molte volte».
Davvero?
«Negli anni '50 Tom Watson era il presidente di Ibm, la più grande azienda tecnologica del mondo. Quando gli chiesero quanti computer sarebbero bastati nel mondo, rispose sicuro: 7! È difficile immaginare il futuro...».
Eppure oggi molti parlano più dei pericoli dell'Ia piuttosto che sottolinearne i possibili benefici.
«Questo perché per 30-40 anni l'industria cinematografica ha raccontato un'intelligenza artificiale che aveva l'unico scopo di distruggerci. Posso rassicurare tutti: Terminator non arriverà. Se è vero che i rischi esistono, è altrettanto certo che ci saranno strumenti che cambieranno in meglio la nostra esistenza: l'Ia può essere usata per creare bombe ma anche energia pulita, dipende da noi».
Questione di etica, insomma.
«La soluzione è nel chiedersi dove deve stare l'uomo in questa rivoluzione. C'è chi dice che dobbiamo metterci in the loop, all'interno di questo cambiamento. Io non sono d'accordo: presto avremo macchine capaci di analizzare i problemi etici e darci il suggerimento giusto. Il nostro compito è preoccuparci che queste macchine funzionino correttamente».
In pratica ognuno di noi avrà un assistente personale.
«Esatto. I computer capiranno i nostri sogni e i nostri desideri, e ci rappresenteranno in molte forme. È un po' come quella battuta che gira ad Hollywood quando due persone si incontrano per conoscersi: Piacere, il mio assistente chiamerà il suo assistente».
Viviamo, però, nel mondo della disinformazione creata dalla tecnologia.
«Il problema non è l'intelligenza artificiale, ma la gente. Nel mio Paese oggi il dialogo politico è talmente folle che l'Ia di sicuro non può fare peggio. C'è una parte di persone che crede a quello che vuole credere, e non vuole sapere se sia la verità».
E qual è la verità?
«Che l'Ia, è vero, è molto brava a creare cose che confondono le idee, per esempio con le immagini. Però il livello del dialogo è così basso che non può scendere ancora più in basso, e in questo caso l'intelligenza artificiale può essere utilizzata anche per capire quale sia l'informazione affidabile».
In che cosa ci cambierà davvero in meglio la vita?
«Nel campo medico sarà fondamentale. Penso che tra 5 anni parleremo con l'Ia per avere un parere, senza che questo tolga qualcosa ai medici, anzi».
Qualche esempio?
«Per dire: basterà fare la foto di un neo con lo smartphone per sapere se sia pericoloso o meno, in modo da rivolgersi allo specialista in tempi brevissimi. Sarà anche molto utile per i triage, per accedere alle cure in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. E si abbasseranno notevolmente i costi della Sanità e delle visite».
Ci avrebbe creduto, se glielo avessero raccontato quando era bambino?
«Leggevo la fantascienza pensando che non avrei mai visto niente del genere nella mia vita. Sono davvero sorpreso: ne parlo nell'ultimo capitolo del mio libro. E comunque se solo 5 anni fa mi aveste chiesto se avremmo avuto un computer con l'intelligenza artificiale all'interno, vi avrei risposto di no».
Quindi cosa succederà, adesso?
«Bella domanda. Le persone non hanno ancora capito quanto sia potente questa tecnologia, quanto cambierà il mondo. È ancora molto presto per avere una risposta, ed è un po' come internet: alla sua nascita nessuno poteva prevedere come i social media avrebbero cambiato la società. Riguardo a me: sono nella posizione di Tom Watson...».
Però, Dottor Kaplan, una risposta la deve dare: lei crede nei computer?
«Sembra quasi una questione mistica...
Posso dire di sì, nel senso che credo nella loro potenza. Il futuro sarà differente, molte cose non le faranno gli umani. Ma la domanda giusta è su cosa sia corretto che facciano e su come potrebbero crearci dei problemi. Credere in loro dipende da come decideremo di usarli».
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