Premiati i devastatori di Roma

Tutti liberi. E senza alcuna restrizione: da ieri i 23 manife­stanti fermati nel corso dei violentissimi scontri che martedì han­no devastato il centro di Roma possono tornare a girare per le strade della Capitale. E, all’occorren­za, metterle di nuovo a fer­ro e fuoco. I giudici si dico­no certi che non lo faran­no: scrivono che nei con­fronti dei giovanotti ci so­no «gravi indizi di colpe­volezza », ma ritengono che il paio di notti trascor­se in carcere siano suffi­cienti a «dissuaderli dalla reiterazione di analoghe condotte delittuose». Ci sarebbe quasi da con­gratularsi per lo straordi­nario sussulto garantista di magistrati che, nel re­cente passato, questo Giornale aveva aspra­mente criticato per ragio­ni opposte. Il tribunale di Piazzale Clodio, infatti, è lo stesso che ha lasciato per tre mesi in cella il fon­datore di Fastweb, Silvio Scaglia, malgrado non sussistesse alcuna delle tre condizioni (pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazio­ne del reato) previste dal­la legge per la carcerazio­ne preventiva. E quando poi l’ha tirato fuori di gale­ra, l’ha spedito agli arre­sti domiciliari, dove tutto­ra si trova da ormai sette mesi. Ed è sempre quel tri­bunale che nel maggio scorso aveva tenuto in guardina per otto giorni un ragazzo accusato di violenza nei confronti di alcuni poliziotti malgra­do un video dimostrasse al di là di ogni ragionevo­le dubbio che le violenze era stato lui a subirle. In questo caso, invece, mano di velluto in guan­to di velluto. Troppo. E le congratulazioni rimango­no nella penna. Perché questo, più che garanti­smo, sembra eccesso di garantismo: le ferite infer­te alla città di Roma san­guinano ancora ed è intol­lerabile pensare che chi le ha provocate ci possa ri­provare subito. Stavolta, infatti, il rischio di reitera­zione del reato è concre­to, concretissimo. Già mercoledì prossimo i guerriglieri tornano al­l’assalto del Parlamento: al Senato si approva la ri­forma Gelmini e i colletti­vi universitari, ispiratori dell’ultima manifestazio­ne, della quale rivendica­no con un comunicato ogni singolo atto di vio­lenza (altro che la favola dei black bloc venuti dal­­l’estero), informano che porteranno ancora in piazza la loro «rabbia dif­fusa ». Ora, per molti dei teppi­sti messi in libertà ieri il processo è fissato per il 23 dicembre, vale a dire il giorno dopo l’annuncia­ta nuova ondata di tumul­ti. Era proprio scandalo­so trattenere i fermati in custodia cautelare fino a quel momento? Chi si è dimenticato in cella Sca­glia e tanti altri come lui avrebbe davvero perso il sonno a causa dei rimorsi di coscienza? E i signori magistrati non sono stati neppure sfiorati dal so­spetto che tanto buoni­smo sarà interpretato da­gli hooligan degli atenei come un sostanziale via li­bera per le loro prossime prodezze? Nessuno, sia chiaro, vuole giustizia somma­ria. Ma tanta disparità nei trattamenti (persecutori per qualcuno, arrendevo­li per altri) lascia sbalordi­ti.

Tanto da indurre il so­spetto che la matrice ideo­logica della protesta, quelle bandiere rosse che garrivano nel corteo, il patrocinio del Pd («infil­trati, infiltrati») e il fatto che il bersaglio alla fine sia il governo Berlusconi, abbia avuto il suo peso. Ma non fateci caso: sia­mo noi cattivoni del Gior­nale che pensiamo sem­pre male.

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