Il premio Nobel Pamuk scappa dalla Turchia

da Istanbul

«Pamuk è scappato». Ha usato queste parole il quotidiano Sabah ieri mattina per dire che Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, ha abbandonato il suo Paese, nel quale era tornato a vivere da poche settimane. Lo scrittore se n’è andato per motivi di sicurezza, perché da quando Hrant Dink è stato ucciso la situazione in Turchia è diventata pericolosa e non accenna a migliorare.
In un articolo pubblicato sulla versione on line del giornale e firmato da Fatih Altayili, una delle firme più prestigiose della testata, Sabah ha dato notizia della partenza dello scrittore, aggiungendo che prima di andarsene Pamuk avrebbe prelevato 400mila dollari dalla sua banca. Il sottotitolo si chiede dove sia andato con tutti quei soldi. La risposta è drammaticamente semplice: Orhan Pamuk è partito due giorni fa alle 11.30 del mattino dall'aeroporto Atatürk di Istanbul, destinazione Stati Uniti. Un posto dove il premio Nobel ha già trascorso alcuni momenti della sua vita, soprattutto quelli di maggior attrito con il suo Paese. Adesso ha deciso di tornarci, probabilmente per molto tempo. E se ci si pensa bene, in pochi gli darebbero torto.
Il quotidiano Sabah ha aggiunto che la redazione era al corrente della notizia già da qualche giorno, ma che avevano deciso di non pubblicarla prima della partenza per rispetto allo scrittore e per evitare manifestazioni di protesta all'aeroporto, che potevano mettere a repentaglio la sua sicurezza. L'articolo, alla fine, si chiede quanto questa decisione peserà sull'immagine internazionale della Turchia.
Orhan Pamuk ultimamente viaggiava sotto scorta, assegnata proprio grazie a un'inchiesta di Sabah, che aveva dimostrato, dopo l'omicidio del giornalista armeno, quanto fosse facile per un potenziale killer avvicinarsi allo scrittore. Subito dopo l'assassinio di Dink, il premio Nobel, apparso a tutti molto provato dalla vicenda, aveva fatto visita alla rivista Agos, diretta dal giornalista ucciso, e aveva chiesto a gran voce l'abolizione dell'articolo 301 del nuovo codice penale, che punisce l'offesa all'identità turca, per il quale sia lui sia Dink erano finiti in tribunale. Entrambi avevano parlato del genocidio armeno, dicendo che la Turchia doveva riconoscere quel massacro.
La settimana scorsa Pamuk era stato minacciato di morte da Yasin Hayal, complice di Ogun Samast nell'assassinio di Dink, che entrando in tribunale qualche giorno fa gli aveva urlato: «Pamuk stai attento, stai molto attento». Solo tre giorni fa, il premio Nobel era tornato al centro delle cronache per aver annullato all'ultimo momento un viaggio in Germania, senza fornire ulteriori spiegazioni. Adesso il motivo è chiaro.
Sembrano lontani anni luce quei giorni di dicembre che avevano visto una riconciliazione fra lo scrittore e la sua città. Dopo la premiazione, che era stata seguita con attenzione e affetto da buona parte dei media e del Paese, i tempi del processo, delle accuse e del linciaggio morale a cui era stato sottoposto sembravano superati. I giornali portavano le foto di un Pamuk sereno, che partecipava a serate letterarie o si faceva fotografare in occasione di ritrovi di intellettuali. Un giorno era persino andato nella redazione del quotidiano Radikal, dove aveva aiutato a comporre la prima pagina.

Poi quel 19 gennaio, quando quei tre colpi di pistola sparati nel centro di Istanbul hanno posto fine a quei raggi di speranza e riportato il Paese in un clima di terrore. Orhan Pamuk ha ripreso ad avere paura e con lui anche quella decina di scrittori e intellettuali che al momento vivono sotto scorta.

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