Prende quota il festival della normalità Una "seconda" nel segno dell'impegno

Resta una kermesse di grande livello, anche i i Take That non emozionano. Ficarra e Picone, dopo un grande pezzo comico, ricordano don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia. E in un pezzo della sezione giovani, quello di Fabrizio Moro, spiccano le figure di Falcone e Borsellino

Prende quota il festival della normalità 
Una "seconda" nel segno dell'impegno

Sanremo - Va bene che Paolo Meneguzzi, primo in gara ieri sera, rappresenta, così bellino, timido, asettico, l'ultima deriva d'un giovanilismo senza più brividi. Che gli Stadio, un grande gruppo, non lo sono mai stati, ma un tempo avevano, almeno, gli autori. E che Marcella e Gianni Bella sono ormai un'evenienza residuale, da accogliere con rispettoso distacco. Ma ribadiamolo: da anni Sanremo non ci regalava un festival di questo livello, e pazienza se la seconda serata è stata, rispetto alla prima, un filino più avara d'emozioni. Con Tosca, Dorelli, Concato e, ma sì, Paolo Rossi a rappresentare i momenti magici, poche le canzoni imbarazzanti e il resto di decorosa - e già per questo, a Sanremo, inconsueta - routine.
Poi, certo, a guastare la festa provvedono egregiamente le giurie: questi vandali senza volto che, annidati chissà dove, mettono a segno i loro misfatti, bocciando ad esempio - è accaduto la prima sera - la più bella canzone del girone giovanile, La ballata di Gino dei bravi Khorakhané, o l'onirica Napoleone azzurro, dei Grandi Animali Marini. Ma questo è nel Dna d'ogni festival, e bisognerà rassegnarsi: perfino i discografici sembrano, quest'anno convertirsi alla qualità, ma le giurie demoscopiche no, alla qualità e al buon gusto, questi demolitori d'ogni estetica, sono impermeabili.
Pazienza. Dunque avvio, ieri, con Meneguzzi, e la sua canzoncina scorre inane e provvisoria come s'addice a un idolo teenageriale. Degli Stadio si salva la vocalità di Gaetano Curreri, il resto difficilmente entrerà nella storia, perché storia non ha. Sara Galimberti, prima in gara tra i debuttanti, è la più fotogenica - e infatti è assai fotografata -, ha un curriculum che spazia dall'operetta ai Pooh e una teatralità che calamita l'applauso.
I Bella? A puntino, professionali, corretti, non una sbavatura ma la canzone vola basso e, come già Roby e Francesco Facchinetti, i due fratellini ci confermano che le ditte a conduzione familiare, quest'anno, funzionano poco. Dunque ci si consoli con una splendida Tosca e con la sua Il terzo fuochista: quel clima da sagra di paese rutilante e colorata, quell'epopea di consuetudini desuete, quei ricordi d'infanzia che affiorano come in un sogno felliniano, tra rimpianto e allegria. Ecco che anche la seconda serata prende quota, alla maliziosa ballata di Patrizio Baù succede la classe antica di un acclamatissimo Johnny Dorelli, all'euforia pagana dell'eros la serena coscienza dell'amore che tramonta, «peccato sì, ma meglio così». E arriva Romina Falconi, romana, biondissima, voce magnifica, brano assai meno.
Alle gag di Ficarra & Picone - è merito di Baudo, avere ridotto al minimo le intrusioni dei comici, reintroducendo nel festival il protagonismo della musica - seguono i Take That, che si sono ricostituiti senza Robbie Williams, non richiesti e non necessari, circondati da una schiera di ballerine plasticate e scuffiettanti. Quanto a Michelle Hunziker, fa meno danni in Non ho l'età che in Cabaret, del resto è più facile emulare Gigliola Cinquetti che Liza Minnelli.
Intanto Al Bano sciorina acuti svettanti e testo edificante, Fabrizio Moro fa seguire il suo pistolotto antimafia, il clima è assai etico non fosse per Paolo Rossi che, bravissimo, propone un brano «minore» di Rino Gaetano, imboccando la strada per lui inconsueta del disimpegno: «in Italia si sta bene/ in Italia si sta male», un colpo al cerchio e uno alla botte.


Poi? Gli Fsc hanno lavorato con Battiato e infatti sono bravi, Amalia Gré è sofisticata e sensuale come una Vanoni del Duemila, Pier Cortese è un'assai lieta speranza, Elsa Lila e i Velvet ma soprattutto Fabio Concato - tenero, utopico, genuino - meritano fino in fondo gli applausi che ricevono. E così pure John Legend, star recente del rhythm and blues.

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