Il private equity italiano paga il conto della crisi internazionale

Secondo la ricerca di Aifi e Price nel primo semestre di quest'anno il valore degli investimenti è calato del 61%

La battuta d'arresto dell'economia mondiale frena il mercato italiano del private equity e del venture capital, segno evidente che la crisi sta pesando anche sul mondo delle imprese. É il quadro che emerge dalla ricerca condotta da Aifi, l'Associazione italiana del private equity e del venture capital, in collaborazione con PricewaterhouseCoopers.
Dopo i picchi raggiunti nel 2008, tra gennaio e giugno di quest'anno sono state infatti 155 le nuove operazioni (-9% rispetto a un anno prima), per un controvalore complessivo di 1,069 miliardi di euro (-61%). La discrepanza fra il calo contenuto del numero di operazioni e il crollo del controvalore - ha spiegato il presidente dell'Aifi, Giampio Bracchi - è dovuta «alla totale assenza di mega-deal», ovvero quelle operazioni con equity investito maggiore di 300 milioni. La specificità del tessuto economico della Penisola ha comunque consentito al private equity italiano di difendersi meglio rispetto a Francia e Spagna. Parigi, in particolare, ha spiegato Mara Caverni di Price, ha registrato «un calo del 65% degli investimenti nel primo semestre».


L'impatto della crisi si è manifestato in modo significativo anche sull'attività di disinvestimento, rendendo difficoltosa la cessione delle partecipazioni e influendo sulla valorizzazione delle società in portafoglio.

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