Prodi manda al macero la Quercia

Stefania Craxi*

Se c’era bisogno di una ennesima prova per rivelare la realtà della situazione politica italiana, la sciagurata Finanziaria varata dal governo l’ha fornita ad abundantiam.
L’attuale governo non è il governo dei Ds e della Margherita, è il governo Prodi-Bertinotti, come era chiaro fin da quando Prodi aveva resistito alle ambizioni di D’Alema per la presidenza della Camera, preferendogli Bertinotti.
La forza di Prodi non sta nei quattro o cinque prodiani che gli vanno dietro ma nel patto di ferro stretto con Bertinotti, col seguito dei Verdi e dei Comunisti italiani. Giorni fa, sul Corriere della Sera, Galli della Loggia invitava Fassino e Rutelli a smascherare quello che chiamava il bluff delle sinistre sostenendo che mai farebbero cadere il governo.
Niente di più sbagliato. L’altolà non va dato a Bertinotti o a Diliberto, ma allo stesso Prodi che li protegge. Finché non metteranno Prodi alle strette, Fassino e Rutelli non faranno che subire.
Dove stiamo andando si può capire da un pomposo saggio pubblicato da Bertinotti su Repubblica. Attingendo alla scienza dei vari Pancho Pardi, Bertinotti esibisce concezioni dell’egualitarismo vecchie di un centinaio d’anni. La ricchezza suscita invidia e disordine sociale, l’armonia si raggiunge riducendo le distanze, livellando, insomma il solito togliere ai ricchi per dare ai poveri dimenticando un dato d’esperienza (le democrazie popolari, la stessa Urss): che questa è la via per la povertà di tutti e il fallimento dello Stato.
Il problema moderno è la creazione di ricchezza che crea a sua volta la possibilità di miglioramento per i ceti meno abbienti. Naturalmente non è credibile che Bertinotti ignori queste cose elementari. Il fatto è che il nutrimento della sinistra antagonista è la faziosità. Il manifesto di Rifondazione «Anche i ricchi piangano» è una prova di bassi sentimenti.
Io mi chiedo come Fassino non si renda conto che Prodi sta portando i Ds al massacro. Dando spago e ragione alle sinistre estreme il governo non fa che erodere il residuo consenso dei Ds, come del resto si è visto chiaramente nelle ultime elezioni dove tutti hanno preso voti meno i Ds che, considerando la dispersione dell'elettorato socialista, col 17 per cento stanno al minimo storico. E sono solo e proprio i Ds ad essere colpiti, perché la Margherita, accentuando la sua partecipazione ai valori religiosi, pone una barriera rispetto alla sinistra.
Di fronte ai Ds sta poi la prospettiva della liquefazione nel Partito democratico dove lo spingono le forze del grande capitale. Il prezzo minimo da pagare, a parte il rinnegamento del valore sociale, è l’annunciata scissione delle correnti di Mussi e di Salvi. Vale tutto questo l’ambizione di D’Alema, che si sente protagonista del mondo, o la rassegnazione di Fassino a un destino che non sa mutare?
Il segretario dei Ds dovrebbe essere il primo a volere un cambiamento di una situazione che lo porta alla rovina.
Paradossalmente, Fassino dovrebbe avere più fretta dell’opposizione.


Berlusconi, che si dimostra un fine politico, invita ad aspettare che la maggioranza «imploda», si sgretoli da se stessa, senza forzature, perché sa che se la situazione precipitasse oggi, con la terna Napolitano-Bertinotti-Marini, tutto potrebbe succedere fuorché il naturale e sacrosanto ritorno alle urne. Si avrebbe con ogni probabilità un governo tecnico, che in Italia vuol dire quasi sempre governo dei poteri forti. Cioè di quello di cui l’Italia non ha proprio bisogno.
*Parlamentare di Forza Italia

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