Prodi non invia i progetti alla Ue e manda la Tav sul binario morto

Il governo non presenta il piano operativo per avere i fondi: addio alta velocità

nostro inviato a Strasburgo

Settanta giorni esatti: meno di tre mesi. Tanto è rimasta in vita l’idea della costruzione della Tav Torino-Lione. Sepolta ieri, in un caldo pomeriggio alsaziano, dopo il fiocco azzurro apposto dai governi italiano e francese il 16 luglio. A intonare il «de profundis» come l’ha chiamato il capogruppo azzurro all’Europarlamento Antonio Tajani, non sono stati tanto Agnoletto e i suoi No Tav, giunti a Strasburgo con 31mila firme di contrarietà all’opera e minacce di opporsi nuovamente «a qualunque ruspa appaia in val di Susa o in val Sangone», né l’avvertimento di una dissociazione dalla maggioranza espresso dall’esponente di Rifondazione comunista nel caso Prodi dia ordine di procedere. Ma il defilarsi del governo di centrosinistra italiano. La sua ritirata improvvisa. La sua sparizione dalla scena.
Che è accaduto? Dopo la stipula dell’intesa italo-francese di luglio, l’Italia avrebbe dovuto presentare il progetto operativo per ottenere il finanziamento (che sarà definito a fine ottobre dalla commissione). Ebbene: nessuno presenterà proprio nulla. A farlo capire le sconsolate parole di Di Pietro qualche giorno fa - citate dall’azzurro vice-presidente dell’assemblea Mario Mauro - per il quale «la Tav non vedrà la luce perché parte della maggioranza boicotta apertamente opere di modernizzazione del nostro Paese», l’assenza di qualsiasi riferimento alla Torino-Lione nell’esposizione dell’amministratore delegato delle Fs Moretti, giunto a Strasburgo per illustrare agli eurodeputati italiani progetti e richieste di finanziamento dell’azienda alla Ue. Ma ancora e soprattutto l’intervento del commissario Franco Frattini. Il quale si è augurato di vedere il progetto inserito nelle opere per cui Barroso può concedere finanziamenti (assieme a quelli per il tunnel del Brennero e per gli svincoli da Trieste verso la Slovenia), ma ha anche ricordato che il via libera di Bruxelles sarà concesso solo per progetti «chiari, visibili, fattibili» e su cui ci sia consenso.
Quello che manca in una rissosissima maggioranza, che non riesce a far decollare il progetto. Dunque muore di fatto il sogno del corridoio 5, da Lisbona a Kiev passando per il nord Italia. Forse qualcuno spera di poter riesumarne il cadavere nel 2009, quando la Ue rifarà i suoi conti sulle Tav in Europa. Ma c’è da contarci davvero poco: «Guardate che fra due-tre anni, tanti altri avranno presentato progetti alternativi...» mette le mani avanti Frattini, facendo capire che francesi, tedeschi e austriaci - Lione-Vienna via Stoccarda - saranno interessati a rubarci il percorso verso l’Est.
Certo: Di Pietro avrebbe tempo fino al 10, 12 ottobre per uno scatto di reni. Ma ormai sembra andata. E male. Insiste Mario Mauro: «Bianchi e Pecoraro Scanio fanno sapere che la Torino-Lione non era nel programma, la Bonino scantona chiedendo di non farle domande in materia...». E l’ex-sindaco di Venezia Costa (Margherita) che aveva sempre difeso la modernizzazione delle ferrovie, commenta laconico e amaro: «Il masochismo italiano è arrivato a Strasburgo...».
A far fede sulla tumulazione del progetto c’è anche - e non di poco conto - l’assenza dal meeting tra Moretti e gli europarlamentari italiani, del commissario ai Trasporti Ue, il francese Barrot. Era stato invitato a dir la sua. Non potendo accusare pubblicamente il governo italiano di aver battuto vergognosamente in ritirata, ha chiesto di essere esentato dalla presenza. Ha ricevuto privatamente e separatamente, tanto i No Tav di Agnoletto che l’amministratore delegato di Fs Moretti. Non mancando di far sapere poi, ai suoi collaboratori, che il governo francese non sarà certo felice di aver già messo quattrini e studi per la costruzione dei tunnel sul versante transalpino e di doverli considerare persi per la fuga di Prodi dalle sue responsabilità.
Sarkozy, con tutta probabilità, cercherà di rifarsi con un altro percorso dalla Francia verso l’Est. Chi rischia è l’Italia e in primo luogo le Fs.

Che si sono presentate a Bruxelles con progetti per i quali hanno chiesto finanziamenti per 3mila miliardi di euro, ma che rischiano di vedersene approvati un paio per pochi spiccioli, visto che si sono mascherate da scimmiette (non vedo, non sento, non parlo) rispetto alla diserzione Prodi sulla Lione-Torino. L’unica che interessava davvero la Ue di Barroso.

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