La berretta di lana mal messa di traverso gli abbassa una fronte già del suo non amplia. È Prodi nella neve, che però incede col suo faccione, beato che finalmente il tempo sia inclemente: saddice alla modestia che vuole esibire. Fin nella giacca a vento scelta dozzinale, per non dire della pensione a tre stelle e di un'auto, la meno ricca pensabile: come quella di quasi tutti. Il primo ministro non rinuncia alla recita della bonomia egualitaria, che vorrebbe sempre emanare. Tanto più adesso, che le persone serie come l'economista Nicola Rossi, si chiamano fuori dal governo. E mentre la Finanziaria ora a tutti si svela demenza astrusa, che non compiace neppure più i comunisti e gli amici confindustriali, Prodi si maschera da umile. E però, come per i suoi respiri sbuffati, al solito esagera. Così conciato evoca le più epiche disgrazie dell'Italia: pare l'incrocio tra un profugo del Polesine e Fantozzi. Eppure quanto farebbe imbarazzare un umile vero, bea invece la sua anima; e gli importa, lo si vede, più delle parole.
In effetti proprio questa potrebbe essere la spiegazione della sua esagerata esibizione di modestia, tra le varie contrazioni mascellari: non sa che dire. Il governo è in balìa dei litigi osco-sanniti di Mastella e Di Pietro, delle seti di Pannella, di una riforma delle pensioni che non si ha più da fare: e Prodi può solo minimizzare. Di qui l'aggravarsi del suo inarcamento palatale e delle pause solenni: per significare quanto non può dire. E però esibisce di soffrire. Mostrandosi comunque quello che non è: modesto. La Finanziaria ha elevato i contributi ai precari, e il bollo alle macchine proletarie, quindi senza lusso ecologico, degli operai di Mirafiori: Prodi s'adegua. Si esibisce, pure lui, in sacrificio. È una spiegazione ragionevole di questa recita, che avrebbe nei migliori film della commedia all'italiana degli splendidi precedenti: si pensi a Saro Urzì il padre che in Sedotta e abbandonata minimizza, esibendo sorrisi finti, ma che gli strozzano il respiro.
Eppure questo Prodi in vacanza non obbedisce solamente a questa recita contingente. Il ridicolo di cui si veste, non si spiega solo col karma per tutti imbarazzante che gli è toccato, e le gesta comiche con le quali il governo sta rovinando la nazione. C'è di più, anzi di peggio: c'è un Cristianesimo comunistizzato per cui sono sacri solo i poveri e occorrerebbe perciò di soffrire. Che sarebbe poi l'idea per cui Giuda si scandalizza che Gesù sia unto con l'olio di Nardo, e chiede invece perché esso non si è venduto e donato ai poveri. La più perniciosa parentela con quei cattolici che hanno rovinato il Concilio, e si sono apparentati ai comunisti, ispira la scena. Sci in spalla, dunque, il primo ministro è in recita alla Fantozzi, e però delle rovinose teologie di Savonarola, e di Dossetti. A significare che la sua diversità dai livellamenti comunisti semmai è d'intensità, non d'intenzione. La maggioranza gli è insomma congeniale. Giacché egli si sente l'officiante di un bene comune, nutrito da superiori morali egualizzanti. Per le quali persino le banche, se sono di amici suoi, divengono beneficanti, e possono «esuberare» anche cinquemila bancari.
Insomma la recita esibita da Prodi nella neve fosse solo l'invenzione del pazzo che gli dà i consigli, ci farebbe ridere e basta.
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