PROPAGANDA DEI COMPLOTTISTI

Rieccolo, il complottismo di sinistra. Ricompare in modo obliquo, verrebbe da dire tenebroso, come una piccola antologia di indiscrezioni su una riunione segreta, alla quale evidentemente partecipava anche Pulcinella. Ed è singolare che per questa grave violazione del segreto d’ufficio nessuno s’indigni, nessuno si chieda cosa ci sia dietro, forse perché non si vuole vedere quel che c’è davanti.
Caro, vecchio complottismo, fedele strumento di disinformazione e propaganda con il quale per decenni il Pci ha intorbidato la vita italiana. I nomi dei partiti cambiano, ma lo stile rimane.
A riesumare l’ossessione fasulla e strumentale dei «servizi deviati» è stato il senatore Massimo Brutti dei Ds, che al termine di una riunione che sarebbe dovuta rimanere ultra-segreta ha voluto lanciare un messaggio ambiguo e offensivo per le istituzioni. Dunque, Brutti ha definito calunniose le accuse e le domande di chiarimento che sono state rivolte ai dirigenti della Quercia per il caso Unipol e ha lasciato intendere che contro il suo partito sarebbero stati usati elementi raccolti dalla nostra «intelligence», o, anche, che in futuro si potrebbero usare elementi infedeli dei «servizi» proprio per screditare i diessini.
Un’accusa infamante, montata ad arte, forse per la disperazione e lo scoramento. Le parole di Brutti sono state pronunciate proprio perché superassero la barriera del segreto, rimbalzassero sul Corriere della Sera, concorressero a creare un’altra leggenda nera sui Ds spiati e perseguitati. Questo sì che è un uso fazioso delle istituzioni. Inoltre, quelle parole si sarebbero dovute considerare in sede parlamentare assolutamente irricevibili, perché generiche, ambigue, insinuanti e anche minacciose. Qualcuno avrebbe dovuto ribattere: «Senatore Brutti, se lei conosce fatti e circostanze significativi la esortiamo a informarcene». Insomma, fuori i nomi. Ed è quello che diciamo al parlamentare della Quercia: dica pubblicamente quello che sa, se lo sa.
E se dovesse cedere a questo soprassalto di sincerità, dica pure quello che sa sul collateralismo – che magnifico eufemismo – fra il suo partito e le cooperative rosse. Ha mai sentito parlare di Consorte, di quel ricco signore che s’è vantato di essersi messo, come banchiere, «al servizio delle organizzazioni economiche della sinistra»?
Ma il ritorno al complottismo non significa soltanto richiamare in servizio un vecchio ronzino della propaganda di sinistra. Significa anche mettere le mani avanti, perché domani è un altro giorno e non si sa quali scenari bancari e cooperativi potrebbe illuminare il nuovo sole. La vicenda di Consorte è un pozzo senza fondo, proprio come certi conti correnti. E poi, il finanziere rosso si comporterà come il compagno Greganti, si sacrificherà come certi personaggi di Koestler, chiamati a «rendere un ultimo servizio al partito»?
Brutto affare. Già Massimo D’Alema nei giorni scorsi in un’intervista aveva prospettato l’ipotesi dello spionaggio e aveva profetizzato che la campagna contro il suo partito sarebbe continuata, tant’è che lo stesso intervistatore (non ostile) aveva osservato: «Ma per caso state mettendo le mani avanti?». D’Alema, va da sé, aveva negato.
Ma la verità è che per scoprire i reali rapporti fra Pci-Pds-Ds e le coop rosse non occorre essere agenti segreti.

Ci sono moltissimi atti giudiziari e procedure fallimentari che hanno analizzato i rapporti organici e funzionali fra il partito per antonomasia e le cooperative rosse. Che non ci siano stati esiti giudiziari clamorosi può considerarsi un miracolo. O un altro mistero di Pulcinella.

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