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Quando l’Epifania era «Pasquètta»

C’era una volta la tradizione della «carsenza in padella del primm de l’ann» (quelle soffici focacce di pasta di pane lievitata e con un po’ di zucchero e uvetta) con cui si iniziava l’anno nelle case, sempre affollate di bambini. Per tenerli buoni e crearne una piacevole aspettativa, la «resgiora» (la reggitrice dell’economia casalinga) friggeva nel burro, che inteneriva il fritto colorito di rosolato da una parvenza d’olio, tante focaccine quanti erano i figli: ma in una c’era una monetina d’argento (l’argento è un noto battericida)! Era il premio per il più buono.
Il gennaio, poi, era anche «el més di gatt», in quanto i gatti stavano tutti nelle case per il vero gelo che, dagli spifferi delle finestre, disegnava sui vetri «i ramasg», i fiori di ghiaccio. Ed ecco in breve il 6: l’epifania, «la Pifanìa che tutt i fèst ie mènna via».
Anzi, noi dicevamo: «Pasquetta on quart d’orètta», riferendoci alla luce diurna in ascesa era «la Pasquètta» perché intesa come il manifestarsi di Dio in mezzo agli uomini, tanto da promuovere quella spontanea adorazione dei misteriosi tre Re magi, non con dolcetti per i bambini ma regali esagerati. Senza sapere da quali regni venissero e poi se ne siano tornati, proprio come maghi ma, per noi, furono comunque sempre solo «i Trii Re». Così, risulterebbe addirittura dalle cronache del 1336, cui si dedica l’annuale marcia metropolitana dal Duomo sino alla basilica di Sant’Eustorgio, dove quel santo, cappellano militare di Costantino il Grande (con statua alle colonne di San Lorenzo) ne recò le spoglie nel 313, poi trafugate e recuperate smembrate.
E in questo corteo c’è tutta l’accorta accoglienza trionfale meneghina: intanto da Sant’Eustorgio, un tempo fuori le mura, ne escono tre sacerdoti che vanno loro incontro ma, giunti al Carrobbio, cioè quel carruvium latino o piazza di scarico dei grandi carri, i tir di quel tempo, appena dentro le mura e, ad aspettarli, i tre si fermavano in un’osteria su tre sgabelli (divenne la famosa «Osterìa di trii scagn»). E dal Duomo giungevano i Trii Re, però questa volta con tanto di scorta di legionari, seguendo una stella a otto punte (come c’è sul campanile di «Sant Ustòrg» a 90 metri dal suolo) che è tutta un poema: in cima a una lunga asta, ogni tanto tirando una cordetta, la stella girava tra i battimani, lanciando riflessi ammiccanti.


Unitisi i sacerdoti, ecco la sorpresa dell’agguato teso dai soldati di Re Erode nascostisi fra le colonne di San Lorenzo: una battaglia spettacolare. Vintili, come sempre, ecco i Tre Re tornare a riposarsi nella loro arca. Sic et simpliciter.

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